The End of Money? Forse. È difficile sapere se ci sarà mai quel cambiamento radicale descritto nel libro di David Wolman, pubblicato quest’anno negli Stati Uniti. Ma di certo vivere senza denaro si può. Ne sono convinti in Spagna dove, probabilmente ispirati al Wir, la moneta creata in Svizzera da 16 imprenditori per superare la crisi del ’29, hanno ideato una rete di valute virtuali per scambiarsi beni e servizi in maniera legale. L’euro per ora non scompare, ma chi sta già utilizzando queste forme di pagamento racconta: “Non possiamo che essere felici”.

Del resto la decrescita auspicata dall’economista Serge Latouche è già in atto. Le famiglie spagnole sono tornate indietro di 27 anni: il loro potere d’acquisto si è ridotto al minimo. Ma la disoccupazione, la recessione e la scarsa liquidità del sistema economico hanno trasformato il Paese in un laboratorio di idee. Sulla scia della decrescita felice, appunto. Si chiamano ecosol, turutas, moras, pumas, pepas o zoquitos. Sono forme di pagamento complementari – la prima è nata nel 2007 – e in Spagna se ne contano almeno 33. La maggior parte concentrate in Catalogna e in Andalusia. Anche se ormai quasi tutte le comunità autonome ne hanno almeno una. L’obiettivo è quello di apportare dinamicità all’economia locale, promuovere lo sviluppo sostenibile e potenziare il reciproco aiuto.

Come spiega l’esperto Julio Gisbert, autore del blog virisinempleo.org, alcune sono “complementari”, altre “alternative”. Le prime convivono con l’euro e cercano di “muovere l’economia locale e ripristinare il mercato”. Le altre invece “nascono da collettivi ecologisti e hanno una matrice anticapitalista”. Tutte però, con l’euro in declino e la crisi che spreme le tasche dei cittadini, iniettano liquidità al sistema, compensano gli squilibri e fanno in modo che la ricchezza non esca dalle frontiere.

Ma come funziona una moneta virtuale? Con un sistema di crediti e debiti: il conto non cresce col passare del tempo. I soldi sono fatti per essere spesi. E per scambiarsi beni. Chi paga e compra in pumas o in zoquitos ha una sorta di libretto di risparmio dove registra tutti i movimenti. In positivo se si vende qualcosa (un pane fatto in casa, verdure del proprio orto, vestiti di seconda mano), in negativo se si comprano beni o servizi. Si comincia con zero e si ritorna a zero, con un sistema trasparente che ti lega alla comunità. I beni e i servizi sono messi in vetrina su internet o di volta in volta nei piccoli mercatini rionali. E da tempo ci sono anche molti negozi che accettano queste forme di pagamento.

Così è possibile alloggiare in albergo, mangiare al ristorante, bere vino tino e magari andare dal parrucchiere. E se l’auto fa capricci fare un salto dal meccanico. Basta avere la tessera in mano e segnare le uscite. L’ultima forma di pagamento virtuale in ordine di tempo è nata in estate. Il trentenne Eduard Folch ha creato la rete Alto Congost, una piattaforma sul web che comprende otto paesini di Barcellona. La moneta si chiama eco. E sul sito compaiono le offerte, le richieste e perfino un sistema di pagamento online attraverso il cellulare.

La svolta però è arrivata dal piccolo comune di Tagamanent: per la prima volta ad agosto un’amministrazione pubblica ha pagato in ecos i servizi di pulizia e di organizzazione della festa di paese. E non solo. Il sindaco Ignacio Martínez ha sottoscritto con la rete di Alto Congost un progetto pilota: l’idea è che tutti i 315 abitanti possano pagare in ecos alcuni servizi comunali, come la piscina, i mezzi pubblici o il teatro. E magari riscuotere alcune tasse attraverso questa moneta. “Così organizziamo meglio il nostro bilancio, non devo più chiedere prestiti né lamentarmi con le istituzioni superiori. E otteniamo una maggiore coesione sociale”, ha detto entusiasta il primo cittadino alla stampa spagnola. Perché anche a Tagamanent sono convinti che l’economia debba trovare una strada diversa. Più ampia e fuori dagli schemi.

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