Anche ora che sono qui, in Italia per le vacanze, evito di guardare la televisione: non ce la faccio proprio. In compenso ho il piacere di leggere il Fatto in versione cartacea (con il ritardo delle Poste italiane: sabato e domenica niente consegna).

Del resto, per sapere cosa ‘succede’ in televisione, non è nemmeno necessario guardarla: tutti i giornali ne parlano, internet ne parla. Vista con gli occhi di un alieno quale mi sento in questi giorni, l’Italia resta una videocrazia nella forma e nella sostanza. Vista con gli occhi di un alieno col diritto di voto (e che quindi segue il dibattito politico con interesse), questa videocrazia presenta sostanziali, vistose e gravi anomalie.

Primo: l’esistenza stessa della videocrazia è non solo tollerata, ma metabolizzata come normale. Non mi sembra di scorgere neanche in embrione una discussione sulle regole di base del gioco democratico in campagna elettorale. La situazione è grave al punto che il padrone stesso delle televisioni dichiara pubblicamente il legame tra le sue ore di apparizione sullo schermo e la percentuale di gradimento del suo partito, con tanto di obiettivo da raggiungere (di ore e quindi di voti). I cosiddetti giornalisti (e mi riferisco qui alla carta stampata) si limitano a riportarne la dichiarazione, senza sentire il bisogno di riflettere (e far riflettere) sul suo senso. Unico lumino nel buio dell’informazione: per la prima volta in vent’anni un conduttore ha provato – senza peraltro riuscirci – a fare una parvenza di domanda al padrone. Troppo poco per parlare di un’informazione con standard qualitativi fondamentalmente diversi da quelli di molte economie emergenti.

Secondo (probabilmente legato a doppio filo al primo): il dibattito (uso questo termine, evidentemente inadatto, per mancanza di altri) sembra aver luogo in una bolla staccata dalla realtà. Prendo ad esempio il programma del M5S: mi chiedo (e ho chiesto, senza ottenere risposta) se qualcuno si sia occupato di verificare la sua compatibilità con gli impegni internazionali dell’Italia. Insomma, si può fare così com’è o bisogna uscire dall’euro, dal fiscal compact, dall’UE?Non mi sembrano dettagli, vorrei saperlo con chiarezza prima di mettere una croce su un simbolo. Non mi aspetto che, se il Grillo è nominato coscienza ufficiale del Pinocchio Italia, quest’ultimo diventi per magia… un Paese vero. Da questo punto di vista l’agenda Monti mi sembra anni luce davanti agli altri documenti di programma che ho letto, proprio perché prende atto del contesto in cui ogni democrazia europea funziona oggi. Non vi sorprenderà di certo sentirlo dire dal sottoscritto. Sorprende invece me vedere che quasi nessuno pare esserne cosciente, anzi che fiocchino critiche al suono di ‘troppa Europa, poca Italia’. Come se si potesse lavorare sull’una a prescindere dall’altra.

Terzo (legato a doppio filo al primo e al secondo): persiste il desiderio dell’uomo forte, del balcone, come spiegava magistralmente Giorgio Bocca. Chi se ne frega dello spread e del debito, dàgli ai tedeschi cattivi, aboliamo le tasse sulla casa eccetera. Resta, mi pare, un’anomalia solo italiana che si possano promettere tagli alle tasse senza che nessun giornalista senta il dovere professionale di chiedere dove sarebbero presi i soldi, vista la situazione dei conti (e, di nuovo, visti gli impegni dell’Italia con i suoi partner oltralpe). In parallelo, c’è una pulsione di cambiamento benefica ma – mi pare, purtroppo – velleitaria. Il ‘tutti a casa’ è comprensibile e al limite condivisibile visto lo stato del Paese, ma non so quanto consenso potrà trovare vista la credibilità delle alternative e, soprattutto, vista la videocrazia imperante.

Queste tre osservazioni delle vacanze mi pare si condensino in tre parole: conflitto di interessi. Ho l’impressione che sia diventato “the elephant in the room“: tutti sanno che c’è, tutti fanno come se non ci fosse. Eppure, per cambiare l’Italia, per rendere il dibattito politico meno surreale, non si può prescindere dal correggere questa enorme anomalia, inaccettabile in una democrazia funzionante.

Una speranza c’è: la salita in politica di Monti ne allargherà i confini estendendolo al di là della singolare, personale enormità del conflitto di interessi berlusconiano. L’opinione pubblica potrebbe essere più sensibile alla regolamentazione dei conflitti dei banchieri e quindi il terreno potrebbe essere propizio per un salto di qualità.

Meglio tardi (vent’anni troppo tardi, e dopo le elezioni, cioè a frittata fatta) che mai. Speriamo.

Disclaimer: Come riportato nella bio, il contenuto di questo e degli altri articoli del mio blog è frutto di opinioni personali e non impegna in alcun modo la Commissione europea.

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