Spero che Il Fatto mi concederà questo piccolo excursus personale sull’ultimo anno passato a spasso con il mio primo film. Ritagliandomi lo spazio per ringraziare davvero di cuore chi ha sostenuto la mia opera prima I giorni della vendemmia. Poco più di nove mesi fa, dopo un percorso che ci ha visto selezionati in 25 festival – tra nazionali e internazionali – e 7 premi ricevuti, ci siamo letteralmente infilati in un buco tra le uscite di fine febbraio; insieme a noi (Ierà, casa di produzione e distribuzione) le consuete società che gestiscono il mercato cinematografico.

Ci siamo tuffati, e continuo con il plurale, perché questo salto lo abbiamo fatto in due: io e Simona Malagoli, la mia produttrice. Usciti dall’oggi al domani in tre sale lungo la via Emilia senza nemmeno il nostro capoluogo di regione, Bologna. Tanta è stata l’affluenza, largo il consenso e il passaparola, supportato dall’inseguire il film a ogni proiezione spiegando la genesi del progetto e rendendo partecipe il pubblico che ci ascoltava. Lavorando sodo. Capendo come si potevano sfruttare, non sprecandole, le pochissime risorse che avevamo a disposizione.

Essere indipendenti, in fondo, significa questo: non dipendere da nessuno. Ragion per cui Gianluca Arcopinto, storico produttore romano e outsider, usa più volentieri il termine Autonomo. Noi però, a dispetto di lui – per onestà intellettuale -, non ne abbiamo fatto una scelta precisa; probabilmente perché non ne abbiamo avuto nemmeno il tempo materiale. Non nasciamo dal mondo che respira cinema, abbiamo realizzato un film in 14 giorni, con una troupe under 26 per lo più composta da esordienti. Di necessità virtù, questo abbiamo fatto.

Siamo andati all’inseguimento delle informazioni che raggiungevamo puntualmente in ritardo. Ci arrabattavamo su come promuoverci in meno di una settimana quando le distribuzioni cambiavano logica e altri film non uscivano. Noi ci infilavamo! Partivamo con la nostra 35mm sul sedile posteriore (su 4 che abbiamo trasposto da digitale) e la davamo direttamente al proiezionista. Filiera corta, no? Poi alla sera si tornava insieme, appassionatamente. Nonostante le difficoltà, le dinamiche convulse e le perdite di tempo, questo romanticismo mi ha nutrito e mi nutre tuttora. 

A costo di sembrare presuntuoso ma quando tanto intensamente vivi un’esperienza, sei a contatto con il materiale che contiene ciò che hai scritto e girato, parli con esercenti che nelle sale ci stanno da quarant’anni come Antonio Sancassani del cinema Mexico di Milano e percepisci la passione che nutrono per quel piccolo schermo o altri giovani e entusiasti come Alberto Surrentino che a Catania cerca di restare in piedi da solo, beh… senti la bellezza e la forza che ti può dare questo mestiere, il cinema. E allora, anche in questa austerità, dove la cultura viene sempre meno compresa, capisci che ci riproverai.

Nonostante tutto.

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