Valentina è una promettente scienziata italiana autrice di ricerche innovative nel campo della geofisica. Il mondo non ce la invidia: più semplicemente, l’ha assunta. Valentina se ne è andata in Danimarca dopo aver partecipato all’ennesimo concorso vergognosamente truccato, all’Università di Milano. E oggi sostiene, da lontano, la causa di Ilaria, brillante entomologa che da anni combatte una battaglia legale contro lo stesso ateneo.

Per anni il dibattito scientifico non è stato in grado di chiarire se l’Antartide stesse perdendo o accumulando ghiaccio. Così gli scettici hanno a lungo potuto tacciare di allarmismo coloro che denunciano i rischi del riscaldamento globale.

Pochi giorni fa un paper pubblicato su Science da un team internazionale composto dai 47 maggiori esperti di scienze polari ha messo fine a 20 anni di incertezze: con le stime più accurate mai realizzate finora, gli scienziati hanno stabilito che lo scioglimento dei ghiacci polari contribuisce all’innalzamento del livello medio del mare con circa un millimetro l’anno. E la situazione potrebbe peggiorare, dato che, secondo gli esperti, in Antartide e in Groenlandia il processo di scioglimento ha subito una significativa accelerazione negli ultimi 20 anni (i dati possono essere consultati qui, oltre che leggendo il paper).

La scoperta preannuncia conseguenze drastiche per le zone costiere e ovviamente ha ricevuto molta attenzione da parte dei media. Ne hanno parlato i principali quotidiani (per esempio il New York Times, il Washingon Post, il Guardian ed El Pais), tutti i siti specializzati (compresi quelli della Nasa e dell’Esa), e le Tv di tutto il  mondo (tra cui BBC e CNN). In Italia invece la notizia è passata inosservata. L’indifferenza dei nostri media è tanto più sorprendente se si considera che del team fa parte una giovane ricercatrice italiana, Valentina Roberta Barletta, che lavora presso il DTU Space (National Space Institute della Technical University of Denmark), la Nasa danese.

Quella di Valentina è una storia tipica dell’università italiana, che si intreccia con le vicende di altri ricercatori che abbiamo raccontato su questo blog. Durante il suo dottorato all’Università di Milano, Valentina pubblica un articolo in cui mostra, grazie a una tecnica di sua invenzione, che il sollevamento delle Alpi è in parte dovuto allo scioglimento dei ghiacciai alpini. Il paper ha un forte impatto sul dibattito scientifico internazionale e viene scelto come leading article dall’editor della prestigiosa rivista Geophysical Research Letters. Nell’ottobre 2010, quasi tre anni dopo aver conseguito il titolo di dottore di ricerca, e forte di una consolidata reputazione scientifica internazionale, Valentina partecipa a un concorso da ricercatore in Geofisica all’Università di Milano.

Nell’ateneo però nessuno si accorge di quanto siano promettenti le sue linee di ricerca. Il concorso infatti viene vinto da uno studente di dottorato, laureato da meno di 2 anni, che secondo ogni possibile criterio di giudizio è di gran lunga il peggiore di tutti i candidati (come mostra la tabella comparativa disponibile qui, dove il vincitore è “x5”, l’unico privo del titolo di dottore di ricerca e con le pubblicazioni più scarse). Il predestinato però può vantare un solido legame con il presidente della commissione giudicatrice, che tenta di far passare il suo pupillo per un genio. Nei verbali non esistono tracce di comparazione tra i candidati, né dell’uso degli indici bibliometrici previsto dalla legge (si veda il DM 2009/89) e comunemente accettato in geofisica. In compenso, vengono stabiliti fantasiosi criteri ad hoc con lo scopo di far apparire fondamentale il lavoro del vincitore (per maggiori dettagli si veda qui).

Tutti e 8 i candidati ‘perdenti’ si indignano e presentano 4 ricorsi al TAR. Sanno che, eventualmente, solo uno di loro potrà beneficiare della ripetizione del concorso, ma intraprendono comunque l’azione legale con  l’obiettivo dichiarato di “Ristabilire verità e giustizia, per tornare a credere che ci sia speranza per la ricerca italiana e per l’Italia”.

Il TAR però dà loro torto, con una sentenza che, a detta degli avvocati dei ricorrenti, valuta impropriamente nel merito le qualità scientifiche del vincitore e assomiglia tanto a un copia e incolla di una memoria difensiva presentata in precedenza dall’ateneo milanese (al punto che, nella sentenza, figurano gli stessi errori di trascrizione di tale memoria). Per ristabilire la verità, non rimane che il ricorso al Consiglio di Stato. La nuova azione legale però costa troppo, e i candidati perdenti, tutti ricercatori precari che già hanno sostenuto le spese per il ricorso al TAR, non se la possono permettere.

Il seguito della storia è esemplare. Valentina organizza un fundraising, ma i fondi raccolti, 650 euro, non bastano a finanziare il nuovo ricorso. Quindi, dopo il concorso, accetta una delle tante offerte che le arrivano dall’estero, e ottiene una posizione a tempo determinato in Danimarca, dove adesso analizza lo scioglimento del ghiaccio nelle regioni polari e calcola le deformazioni della Terra associate a tale scioglimento. Il suo rimpianto è non essersene andata via prima, e aver sopportato così tanti sacrifici e umiliazioni nell’inutile tentativo di restare in Italia. Il nostro rimpianto è non essere riusciti a trattenerla, e aver perso definitivamente il contributo che lei, e tanti altri come lei, avrebbero potuto dare allo sviluppo e salvaguardia del nostro paese.

Oggi Valentina ha deciso di devolvere la somma raccolta per il mancato ricorso al Consiglio di Stato a una causa simile alla sua: la raccolta fondi che il SECS Team, di cui mi onoro di far parte, ha promosso per finanziare il terzo ricorso al TAR di Ilaria Negri, la giovane entomologa che da due anni lotta contro i muri di gomma dell’Università di Milano. Ne abbiamo parlato già sul blog qui. La nostra raccolta fondi per Ilaria, annunciata da Milena Gabanelli in questo servizio su Report, si è appena conclusa: 3.500 euro in poco meno di un mese. Il ricorso è finanziato, e ora non rimane che aspettare la sentenza, prevista nel maggio 2013.

Sarò troppo ottimista, ma il desiderio di giustizia e il gesto di solidarietà di Valentina Barletta nei confronti di Ilaria Negri, e il successo di questo nuovo fundraising (che fa seguito a quello che abbiamo realizzato per finanziare il ricorso al TAR contro l’esito di un altro concorso scandalo, all’Università dell’Insubria, raccontato da Report e su MicroMega) è forse un ulteriore segno che qualcosa sta cambiando. Che nella comunità scientifica è presente e attiva più che mai una intera generazione di ricercatori e professori che vivono l’università con uno spirito vigile e costruttivo, che non sopportano più l’uso privato di risorse pubbliche, che non sono disposti a farsi intimidire dall’arroganza dei baroni e che, se necessario, oltre a firmare una petizione sono disposti anche a mettere mano al portafoglio.

Ne deriva un messaggio molto chiaro a tutti coloro che nei concorsi prendono decisioni sospette, o ne beneficiano: esistono ormai meccanismi molto efficaci per pubblicizzare tali decisioni e consentire alla comunità accademica di formarsi una opinione sull’accaduto. Bisogna tenerne conto, se si vuole conservare una reputazione dignitosa. Ma i principali destinatari del messaggio sono i candidati dei prossimi concorsi, i ragazzi che cominciano a fare ricerca, gli studenti, e anche tutti coloro che seguono i baroni perché hanno paura che non esistano alternative: sappiano invece che l’Università può funzionare meglio e le carriere si possono costruire diversamente.

La defeudalizzazione dell’Università è possibile insomma. Bisogna affrontare il problema alla radice, e come si fa con i bambini piccoli: approvare comportamenti meritevoli e stigmatizzare con ogni mezzo quelli dannosi, senza se e senza ma. Sembra difficile e invece è semplicissimo.

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