Il Giappone svolta a destra e torna sotto il prepotente controllo dei Liberaldemocratici di Shinzo Abe, archiviando dopo 3 anni e quattro mesi l’esperienza al governo dei Democratici (Minshuto o DpJ) che incassano una delle peggiori sconfitte dalla fondazione, conservando solo un sesto circa degli oltre 310 seggi conquistati nel 2009.

“La vittoria è la prova del fallimento dei Democratici”, ha commentato Abe in conferenza stampa nella sede del partito, un ‘falco’ della difesa territoriale anche con le modifiche da apportare alla costituzione pacifista, favorevole alle politiche energetiche nucleari e convinto sostenitore di una politica di allentamento monetario senza limiti per battere la deflazione, anche a costo di stravolgere l’indipendenza della Bank of Japan.

La Cina si è detta subito “molto preoccupata” per la possibile evoluzione della posizione internazionale del Giappone visto che Abe è considerato un “falco” in politica estera. “Siamo molto preoccupati”, ha affermato la portavoce del ministero degli esteri Hua Chunying in una conferenza stampa tenuta a Pechino poco dopo che lo stesso Abe aveva affermato che la sovranità giappone sulle isole Senkaku/Diaoyu è “indiscutibile”. Secondo Hua le isole “sono parte integrante del territorio cinese”. Abe ha sostenuto che le Senkaku/Diaoyu “sono possedute e controllate dal Giappone in base alla legge internazionale”. “Questo – ha aggiunto il prossimo capo del governo giapponese – non è negoziabile“. La crisi per le Senkaku/Diaoyu, che si trovano nel Mar della Cina orientale, è esplosa lo scorso settembre ed è considerata la più grave del dopoguerra tra i due Paesi asiatici. La scorsa settimana la tensione è cresciuta quando un aereo cinese è penetrato nello spazio aereo giapponese e si è allontanato poco prima che Tokyo facesse decollare i suoi caccia F-15 col compito di fronteggiarlo.

I Liberaldemocratici (Ldp o Jiminto) si prendono la rivincita sui Democratici più che raddoppiando i seggi e sfiorando quota 300 sui 480 della potente Camera Bassa, a fronte del tracollo dei rivali, precipitati sotto quota 60, con bocciature clamorose come quella dell’ex premier Naoto Kan. Il Jiminto, insieme alla trentina di deputati dell’alleato tradizionale New Komeito, sale alla maggioranza dei due terzi gettando le basi per rivedere la costituzione imposta dagli Usa nel 1947 e scavalcare gli ostacoli all’azione di governo da parte della Camera Alta, dove non c’è una maggioranza ben definita.

Il premier Yoshihiko Noda, che aveva aveva puntato tutto sul risanamento dei conti e il varo del raddoppio dell’Iva dall’attuale 5% al 10% del 2015 per ristrutturare le spese di welfare e social security, ha ammesso la sconfitta (“è un risultato molto severo, ma è il giudizio del popolo giapponese”) e annunciato le dimissioni da presidente del DpJ.

Le speranze nate ad agosto 2009 con il ‘change’ lanciato dal Minshuto di Yukio Hatoyama, mutuato sull’onda del successo di Barack Obama alla Casa Bianca, sono progressivamente naufragate: i Democratici, come i Liberaldemocratici, hanno espresso tre premier in altrettanti anni (Hatoyama, Kan e Noda), tra lotte intestine, scontri, scissioni e mancate promesse elettorali, aggravate dalla gestione a volte contraddittoria come nel caso della doppia recessione e, soprattutto, del devastante sisma/tsunami dell’11 marzo 2011, all’origine della grave crisi nucleare di Fukushima, la peggiore da quella di Cernobyl.

Le incertezze sulle politiche energetiche – con il proposito di abbandonare il nucleare entro il 2040, poi modificato e infine riesumato in campagna elettorale – ha portato disorientamento, al punto che il Jiminto, favorevole all’atomo a uso civile, ha fatto quasi il pieno addirittura nei collegi uninominali della prefettura di Fukushima.

Tra i tentativi di ‘terzo polo’, la performance migliore, pur se sotto le attese, l’ha avuta il partito della Restaurazione del Giappone, lanciato dal giovane sindaco populista di Osaka, Toru Hashimoto, e guidato dall’altrettanto populista Shintaro Ishihara, ex governatore di Tokyo: 54 seggi nel conti ufficiosi, poco sotto quelli dei Democratici e non sufficienti per avere un peso nelle politiche del blocco Jiminto-New Komeito. Il partito anti-nucleare (Il Giappone di domani) della governatrice di Shiga, Yukiko Kada, si è fermato al momento a quota 8 seggi.

Abe si è mostrato molto prudente, anche considerando il crollo del 10% dei votanti, al 59%, rispetto alle elezioni di tre anni fa: “Le proiezioni a nostro favore – ha detto – non significano che l’Ldp è stato in grado di ripristinare la fiducia dei cittadini al 100 per cento. Lavoreremo sodo per essere all’altezza delle aspettative della gente”.

Articolo Precedente

Strage di Newtown, “Fuck you CNN it wasn’t me”

next
Articolo Successivo

Israele, Acri: “Un regime che comprime i diritti anche degli israeliani ebrei”

next