Mario Monti non ha ancora sciolto le riserve su una sua possibile discesa in campo. E’ un bene o un male che il presidente del Consiglio decida di correre per Palazzo Chigi?

Risponde Bruno Tinti:

L’Irisbus produce autobus, è di proprietà della Fiat ed è in crisi da tempo. Sembrava dovesse comprarla un imprenditore italiano o forse i cinesi. Ma non l’hanno voluta. Adesso lo potrebbe comprare la Lambretta. Sia come sia, la produzione è ferma. Sindacati, Sel e Pd si spendono per evitare la chiusura della fabbrica; dicono che non si possono lasciare senza lavoro i dipendenti; “qualcuno” deve garantire la continuità della produzione. Però, dove prendere i soldi per farlo, non lo spiegano. Irisbus è un buon esempio dell’attuale situazione del nostro paese.

Che questa fabbrica produca ottimi autobus è un fatto. Che non se ne vendano abbastanza per remunerare i costi è ugualmente un fatto. Non fosse così, Fiat non avrebbe deciso di chiuderla e gli eventuali acquirenti non si sarebbero tirati indietro: chi e per quale motivo rinuncerebbe a un affare che consente guadagni? Dunque, se non comprano, è perché sarebbero soldi buttati. Ma, se l’azienda non è in grado di produrre le risorse necessarie per pagare i suoi costi (tra cui gli stipendi dei lavoratori), chi dovrebbe farlo al suo posto? Sta qui la differenza tra un governo presieduto da Monti e uno presieduto da Bersani. Il primo prenderebbe atto che si tratta di una questione di soldi; il secondo la tratterebbe come una questione politica. Il primo, esplorate tutte le strade, abbandonerebbe Irisbus al suo destino; il secondo ne farebbe gravare i costi sulla collettività e la farebbe lavorare in perdita.

Il dramma di questi momenti bui è che non esistono più opzioni diverse. Scegliere, tra quelle più vicine alle classi meno favorite e altre più attente a quelle più ricche; in questo sta la “politica”. Ma, quando nessuna scelta è possibile perché le risorse del paese devono essere utilizzate per i cosiddetti bisogni primari (garantire servizi degni di un paese civile e pagare i debiti perché, in caso contrario non ci farebbero altri prestiti, dovremmo dichiarare bancarotta, uscire dall’euro e avviarci verso l’impensabile); quando questo è lo scenario da affrontare; allora non è più questione di “politica”; è questione di economia, anzi – più banalmente – di buona amministrazione.

Nessun partito può sperare in un consenso che gli consenta di amministrare i sacrifici tremendi che la situazione italiana richiede; non fosse altro perché i partiti concorrenti proporrebbero sempre soluzioni diverse, ugualmente sbagliate, ma sempre più appetibili; e sarebbe il caos. Un governo di “salute pubblica” può provarci; può avere l’appoggio di tutte (quasi) le forze politiche, che non perderebbero il loro consenso a causa di scelte impopolari (ne è responsabile Monti); e può traghettare l’Italia dall’altra parte del precipizio, che è poi quello che ha fatto finora. E qui si potrà ricominciare con la “politica”; magari proprio con Bersani.

Leggi anche la risposta di Lidia Ravera: Con Bersani, proletari uniti contro gli estremismi moderati

Il Fatto Quotidiano, 16 Dicembre 2012

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