C’è chi dall’Italia scappa e chi ci torna. E se a tornarci è un musicista la prima cosa che viene da chiedergli è perchè. Roberto Dell’Era ti racconta che è andata così, per caso, come molte delle faccende più importanti della sua vita, e immaginiamo di molte altre. Nel 2006 Manuel Agnelli ha ascoltato un suo demo e lo ha chiamato a suonare il basso negli Afterhours. Poi sono arrivate le collaborazioni con artisti come Dente, Il Genio, Calibro 35. Così ci crediamo quando ci racconta che in fondo “ci si raccontano favole, storie, si immaginano fughe fino a quando non ti accorgi che l’oro ce l’avevi proprio sotto al culo”. E come se non bastasse il successo con la band, nel 2011 ha debuttato come solista. Un progetto piccolo, anche se con anni di gestazione alle spalle, che ottiene un successo di critica al di là delle più rosee aspettative. Colonna sonora originale è il titolo dell’album che Dell’Era, o Dellera, porta il 14 dicembre al circolo I vizi del Pellicano di Correggio. “Un semiacustico” racconta Dellera “in attesa del tour che partirà tra gennaio e febbraio con la band al completo. Solo io alla chitarra e il violino di Rodrigo d’Erasmo (Afterhours). Una situazione molto intimista rispetto alle atmosfere rock del disco, più vicina all’anima strettamente lirica delle canzoni”.

Un disco che è stato preparato in un tempo molto dilatato…

E’ vero. Ci ho messo molto tempo. Ho cominciato a scrivere i pezzi quando è cominciata l’avventura con gli Afterhours, poi le solite circostanze della vita e i passaggi rocamboleschi tra etichette ne hanno rallentato l’uscita. Fino a quando non c’è stato l’incontro con la MarteLabel di Giuseppe Casa. A quel punto ho scelto i pezzi che mi sembrava potessero costruire un insieme omogeneo. E ad un anno dall’uscita sono successe un sacco di cose, molto più di quello che mi aspettavo, tra recensioni bellissime, la finale del Premio Tenco, il quarto posto come artista più programmato della Indie Musik Like per l’anno 2011/2012. Per un piccolo progetto che rischiava di essere visto più come figlioccio degli Afterhours che nella sua originalità l’attenzione che gli è stata data mi ha molto lusingato.

Da dove nasce il titolo Colonna sonora originale?

In realtà mi piaceva l’idea di un titolo ad effetto, che rappresentasse senza avere una direzione ben precisa. Non c’è un flusso narrativo preciso perchè è un disco che nasce dagli umori dei miei dieci anni inglesi. Però ad album concluso mi sono accorto che in fondo si trattava di una narrazione fortemente autobiografica, nella quale tutti i tasselli erano collegati tra loro: le persone che ho conosciuto, quelle con cui ho scritto o suonato. Insomma, ci ho intravisto una colonna sonora, un collante, qualcosa di simile ad un musical, personalissimo e totalmente veritiero.

Sai che anche io sono obbligata a domandarti perchè mai sei tornato in Italia mentre tutti scappano…

Mah, sono andato in entrambe le direzioni. Sono scappato, per caso, per caso sono tornato. Certo quando vivi in un paese per tanti anni alla fine non ti senti più in viaggio, il senso di avventura che ti aveva inebriato si scioglie nella normalità, nella quotidianità. Non mi sono mai sentito uno straniero in Inghilterra, mi ero perfettamente integrato in un modo di vivere che se non è agli antipodi rispetto al nostro è certamente molto differente. Poi a seguito di episodi rocamboleschi  e completamente casuali mi sono ritrovato a prendere la decisione di cambiare nuovamente paese, anche se  non avrei mai pensato di tornare in Italia. Suonare all’estero è gratificante, certo, in maniera differente. Questione di storia: non siamo un paese di rock and roll, ma un paese dove il retaggio della cultura musicale pop è molto forte. Avere avuto la possibilità di relazionarsi anche con una realtà straniera mi ha arricchito ma la mia America, la nostra, con gli Afterhours, è senza dubbio qui. E vivere qui è bello.

Assieme a Federico Poggipollini e Sergio Carnevale hai intrapreso l’avventura del Jack on tour, un tour musicale d’Italia attraverso le band emergenti delle città in cui avete fatto tappa. Ce ne parli?

Il Jack on tour era nato lo scorso anno come diario del viaggio americano degli Afterhours lungo la leggendaria Route 66, durante il tour negli States. Quest’anno è stato trasformato in un progetto di viaggio attraverso cinque città italiane alla ricerca dei nostri luoghi del rock e di nuove band a cui dare un palco ed un opportunità per suonare. In ogni città il concerto si è trasformato in una jam con ospiti del panorama indie italiano, da Dente a Cristiano Godano a Roy Paci. Faticosissimo, e divertentissimo. Ci sono città con una carica innovativa fortissima, come Catania, dove da anni si muove una scena musicale in costante fermento, Roma, che è un po’ la mia seconda casa. E poi Firenze, Milano… A Bologna non siamo passati. Ma il concerto all’Estragon con gli Afterhours, quello, è immancabile. Ce lo teniamo sempre a fine tour. E’ la festa finale: uno dei seratoni dell’anno.

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