“Le donne sono uccise ogni due o tre giorni e potremmo persino fare una previsione, augurandoci che sia per eccesso: entro la fine dell’anno potrebbero essere uccise altre ventitré donne. ….” Lo scrivevo il 21 ottobre scorso, il giorno in cui l’associazione nazionale D.i.Re – donne in rete contro al violenza, pubblicava sul web e sulle pagine del Fatto quotidiano, l’appello Mai più violenza sulle donne.
Una petizione per dire basta alla mattanza dopo che Carmela Petrucci era stata uccisa a Palermo dall’ex fidanzato della sorella. Una raccolta di firme che i centri antiviolenza avevano fatto per richiamare il governo italiano ad impegnarsi con politiche efficaci che spezzassero questa catena di violenze con l’attuazione del Piano Nazionale contro la violenza sulle donne, la ratifica della Convenzione di Istanbul ed il sostegno ai centri antiviolenza. La scorsa settimana D.i.Re ha scritto una lettera aperta alla ministra Elsa Fornero rinnovando le richieste dell’appello e consegnandole quasi 24mila firme.
Il conteggio delle vittime, dopo Carmela è arrivato a 121, altre sedici. E’ amaro pensarlo, ma questo 2012 si concluderà con un numero di femminicidi che non si discosterà molto da quelle 128 vittime che avevo ipotizzato due mesi fa. Questa la sequenza di violenze dall’inizio del mese di dicembre: tre donne uccise a Genova, Caserta ed Udine e poi ci sono le altre cinque donne ricoverate in gravi condizioni all’ospedale, quattro per essere state accoltellate, una per essere stata data alle fiamme dal marito. Sono aggressioni che solo per sorte non si sono concluse con la morte delle vittime e sono avvenute a Roma, Vicenza, Barletta, Macerata e l’ultima stanotte a Milano.
Intanto su molti quotidiani e telegiornali, i giornalisti e le giornaliste che non riescono a rinunciare al linguaggio che occulta la violenza sulle donne, invece di parlare di femminicidio continuano a scrivere o a parlare di raptus, di liti, di gelosie, quando invece sappiamo che si tratta di eventi che concludono anni di maltrattamenti e violenze familiari. Cronache di morti annunciate che potrebbero essere fermate o perlomeno potrebbero diminuire se vivessimo in un Paese con un governo ed un parlamento che attuassero politiche per rafforzare le donne e difenderne i diritti. Ci tocca invece una classe politica che la parola ‘donna’ la nomina e la mette in cartellone solo per gli slogan e gli spot in propaganda elettorale.
Nel frattempo le donne muoiono per la violenza di uomini incapaci di gestire rabbia, sentimenti e frustrazioni, e muoiono per l’assenza o l’ inefficacia di risposte dopo che hanno chiesto aiuto.
Nadia Somma