“A Federica Salsi e Giovanni Favia è ritirato l’utilizzo del logo del MoVimento 5 Stelle. Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura. Gli auguro di continuare la loro brillante attività di consiglieri”.

Lo scrive Beppe Grillo, di prima mattina, e non senza sarcasmo, con poche righe inserite in una colonnina laterale sul suo blog. Favia rimane comunque consigliere regionale dell’Emilia Romagna e nella storia del Movimento 5 Stelle è stato il primo e più importante punto di riferimento all’interno delle istituzioni prima nel lavoro svolto come consigliere comunale a Bologna durante la breve giunta di Flavio Delbono, sia, appunto, come consigliere 5 Stelle nella regione governata da 50 anni dal Partito Democratico. 

Anche Federica Salsi, ripresa un mese e mezzo fa sempre da Grillo dopo la sua partecipazione a Ballarò (“i talk show sono il vostro Punto G”) in un’intervista apparsa sul web si è sfogata con toni durissimi contro il leader: “Il dissenso non è concepito all’interno del Movimento. Paradossalmente i partiti, con tutti i disastri che hanno arrecato a questo Paese, sono più controllabili dai cittadini di quanto lo siano Grillo e Casaleggio”. E getta anche delle ombre sul futuro dei 5 stelle in Parlamento: “Non emerge un progetto politico ma uno slogan elettorale. Viene il dubbio se non via sia la volontà solo di aumentare il volume di affari del blog di Beppe. Le persone candidate sono dilettanti allo sbaraglio. Non sono minimamente preparate”.

L’espulsione di Favia e Salsi è la terza, dopo quella di Valentino Tavolazzi. D’altronde Grillo lo aveva annunciato. “Siamo in una guerra, con noi o contro di noi. Chi si fa troppe domande sulla democrazia interna, prego andare. E andrà”. Un Beppe Grillo più nervoso di altre volte, ma allo stesso tempo con nessun sorriso ironico o ammiccamento. Aveva parlato ai suoi “ragazzi” più che al resto del mondo, non citando il marchese del Grillo, come due giorni fa, “io so’ io”, ma la conclusione sempre quella è. “Siamo in una guerra, in una guerra con gli elmetti. Siamo accerchiati. E finché ci accerchiano i giornali mi va anche bene, non lo accetto dall’interno. Chi mette in dubbio la nostra onestà fuori dalle palle”.

Che i destinatari del video messaggio avessero nomi e cognomi, sono tutta quell’area che da mesi chiede maggior dialogo, democrazia, partecipazione alle decisioni, non c’era dubbio. Quelli che se la prendono con lo strapotere che all’interno del Movimento cinque stelle ha conquistato Gianroberto Casaleggio, uomo che viveva all’ombra di Grillo, ma che oggi è al pari di Grillo, quello che in un partito tradizionale si chiamerebbe segretario o vice. È lui alla guida dell’unico ministero ombra del Movimento: quello alla comunicazione.

Lui è l’uomo delle primarie online, l’artefice della piattaforma sulla quale è avvenuta la consultazione, lui è lo stratega dei comizi, le parole-tormentone, l’uomo che alle visioni unisce un pragmatismo finalizzato ai voti. Si è detto molto e di più sull’uomo che da solo compone il cerchio magico che protegge Grillo. Lui non parla, annuisce o, la maggior parte delle volte, dissente; non discute coi giornali: lavora al blog; lui non tollera nemici: fa di tutto perché vengano rispediti a casa. Questo si dice. E lo dicono i militanti del Movimento, quasi tutti passati dagli uffici della Casaleggio associati, a Milano, in via Morone, a due passi dalla Scala. È lo spin doctor, ma per molti movimentisti anche la scuola del partito che sarà una volta occupate le stanze di Camera e Senato, lì dove – nella filosofia dei 5 Stelle – si dovrebbe consumare la rottura definitiva tra la nuova (Grillo) e la vecchia (Bersani e Berlusconi) politica. Lui tace come sempre, ovvio. Ma negli ultimi mesi ha iniziato a scrivere. In prima persona. E ’ uscito da quell’alone di mistero e magia che avevano fatto di lui un quasi “santone”, il mago delle strategie in rete.

Prima ha fatto capolino con una lettera al Corriere della sera, qualche mese fa, l’altro giorno con un post dove ha minacciato di querela Servizio Pubblico, la trasmissione di Michele Santoro, e un militante del Movimento, Ivano Mazzacurati, che lo ha accusato, per poi correggersi e dire di essere stato frainteso, di intascare direttamente lui i soldi destinati ai gruppi parlamentari. Mandato agli avvocati per diffamazione a mezzo stampa, è stata la risposta di Casaleggio, divoratore di fumetti, grande oratore con il mito di Gensis Khan. Difficile cercare precedenti nelle querele tra partiti e carta stampata o tv. Sono rari. In genere i politici (prima, seconda o terza Repubblica che sia) non querelano, se va bene chiamano direttamente gli interni dei piani alti. Ne sanno qualcosa alla Rai. Ma anche questo è il Movimento, la diversità che propone e l’età anagrafica relativamente giovane. Niente agende telefoniche, se qualcosa non va si passa alla querela. “Che Casaleggio e Grillo siano nervosi”, dice dietro la promessa di anonimato un attivista del Movimento, “non ci sono dubbi. Che alle primarie abbiano votato poche persone è altrettanto innegabile. Il problema non è quello di accapigliarci tra di noi. Sarebbe meglio capire i motivi. Nessuno sa quanti siamo gli iscritti, si parlava di centomila due anni fa, duecentomila quest’anno, molti di più se calcolati a oggi, quasi trecentomila. Se così fosse vorrebbe dire che non hanno votato il novanta per cento degli iscritti. 

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