Il Professore studia. Il meteorite che ha sbriciolato gli ultimi tre mesi di legislatura – la sesta discesa in campo di Berlusconi – spinge Mario Monti a guardarsi intorno, a tastare il terreno, a provare a spiare nel futuro. Raccontano (lo fa oggi Repubblica) che il presidente del Consiglio non ha per niente voglia di vedere il suo anno di lavoro faticoso (per gli italiani) più o meno travolto da un treno per “merito” del “ritorno della mummia”. Nonostante i consigli e le rassicurazioni della parte sinistra della sua maggioranza (Bersani ha fatto capire chiaramente che rimanendo fuori dalla baruffa il bocconiano avrebbe strada libera verso il Quirinale), Monti starebbe insomma pensando seriamente a proporsi come prossimo presidente del Consiglio.

La Stampa rivela anche un incontro a Palazzo Chigi tra il Professore e Roberto D’Alimonte, studioso esperto in flussi elettorali. Secondo il quotidiano torinese D’Alimonte avrebbe misurato un’eventuale “area Monti” (con il capo del governo in campo) su una percentuale vicina al 15 alla Camera e la certezza di eleggere senatori in tutte le Regioni. Tradotto: poter fare l’ago della bilancia a Palazzo Madama, dove – com’è noto a tutti gli elettori dal 2006 – a causa del Porcellum servono percentuali quasi bulgare per ottenere una maggioranza degna di questo nome. D’Alimonte oggi al fattoquotidiano.it conferma quell’incontro, ma smentisce il tema: “Non abbiamo parlato di flussi elettorali”, dice. Certo è che una lista Monti con Monti in corsa peserebbe cinque volte di più di una lista Monti nel senso dell’agenda (l’Ipsos di Pagnoncelli ieri a Ballarò la dava intorno al 3). Fatto sta: il presidente Monti ha incontrato, per gli stessi motivi, anche Renato Mannheimer, spiega il Foglio.

A proposito di agenda, Monti avrebbe in tasca, pronto da presentare alle Camere un “memorandum segreto“, come scrive il Foglio. Una “lista di cose da fare” con tutti i punti che non potranno essere tralasciati nel prossimo futuro dall’esecutivo, qualsiasi sarà. Nel merito i capitoli del memorandum sarebbero tre: pensioni e lavoro, nessuna marcia indietro; se resteranno “tesoretti” dovranno essere dedicati alla riduzione delle tasse per lavoro e imprese; terzo, impossibile rimuovere tasse come l’Imu, fondamentali per la tenuta dei conti. Non è ancora chiaro, prosegue il retroscena del quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, se il “memorandum” sarà presentato in Parlamento come una mozione, sulla quale, dunque, i partiti potranno esplicitare plasticamente i loro sì e i loro no. Tuttavia non ci vorrà molto perché i candidati in campagna elettorale facciano sentire come la pensano. E’ un modo, insomma, di dare “la lezione per casa”, riportare tutti alla realtà: sia chi comincia – anche nel Pd – a pensare di mettere mano alle riforme considerate troppo dure o pasticciate (lavoro e pensioni, con la frittata degli esodati sempre lì sul tavolo), sia chi paventa – sarà tempo di giorni, c’è da scommetterci – tagli di tasse. Monti si ergerebbe a garante di una sorta di carta d’intenti, sottolinea il Foglio.

Mentre ieri Monti se le è date di santa ragione con il suo predecessore in diretta televisiva (Berlusconi sulla sua Canale 5, il Prof sull’istituzionale Rai Uno nella nazionalpopolare Unomattina), è difficile dire che il capo del governo sia fuori dalla sfida a distanza con i partiti che apertamente sono già saliti sul ring. Basti pensare alla frase sull’aneddoto sul nipote che i compagni all’asilo chiamano “spread”: l’abc della comunicazione politica, per non dire della propaganda. 

Infine l’ingresso del presidente del Consiglio avrebbe l’effetto di erodere molta forza proprio al partito di Berlusconi che per il momento sembra “l’avversario” (anche se il termine appare improprio) della disputa di Monti. Basti fare un paio di nomi. Il primo meno conosciuto: Mario Mauro, capodelegazione del Pdl all’interno del gruppo del Partito Popolare Europeo. Al Corriere della Sera chiarisce: “Io scelgo l’Europa e scelgo il Ppe. Se il Pdl non fa più la stessa scelta io non mi riconosco più nel Pdl”. “Non ho nulla contro Berlusconi e non mi sento meglio di lui, anzi. Dico semplicemente – insiste – che aver condannato a morte il governo Monti in modo così repentino, dopo averlo sostenuto come azionista di maggioranza, non corrisponde ai valori del Ppe”. E d’altronde la stessa cosa era stata detta ieri dal capogruppo del Ppe all’Europarlamento Daul. Il secondo nome è quello dell’ex ministro degli Esteri Franco Frattini: “Se Berlusconi fa campagna anti Ue mi ritiro” ha sintetizzato la sua posizione sempre il Corriere. Il quotidiano di via Solferino allunga la lista dei malumori: perché Mauro è in area Comunione e Liberazione (e Roberto Formigoni è quindi dietro l’angolo) e perché il gruppo di cattolici, liberali ed europeisti comprende anche Sacconi, Quagliariello, Roccella. Senza dimenticare che Monti in questi giorni ha incontrato anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno e, dall’altra parte, a Palazzo Chigi è stato visto anche Giuseppe Fioroni.

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