Scusate il ritardo. Nei giorni scorsi ho avuto un po’ di impegni che mi hanno tenuto lontano dal blog. Ma appena l’ho riaperto ci ho trovato una cosa molto interessante su cui non posso rinunciare a dire la mia: l’articolo di Scanzi sul programma di Rai 1 dedicato a Lucio Battisti e la lunga serie di commenti che sono seguiti. Lo so che è passato un po’ di tempo, ma quello che mi ha colpito non è legato strettamente al prodotto televisivo e quindi non ha perso – purtroppo – di attualità. Il prodotto in sé può essere giudicato con maggiore o minore severità. Personalmente sarei anche stato meno severo. Intendiamoci, non che sia una bella televisione, ma diciamo che ognuno ha fatto la sua parte: Giletti ha fatto il Giletti, Bartoletti ha snocciolato le sue pillole di retorica, Mara Maionchi non ha fatto il personaggio, qualcuno ha cantato bene (secondo me, che di musica capisco poco, Zarrillo e, incredibilmente, Patty Pravo) e qualcuno male (Mario Biondi), i famosi filmati erano quasi tutti già visti (del duetto con Mina proprio non se ne può più) e la lettura filomogoliana con demonizzazione di Panella è oramai una linea consolidata da cui è difficile uscire.

La cosa davvero orribile, il vero motivo per cui vale la pena di indignarsi e su cui quasi tutti hanno sorvolato (Scanzi vi accenna solo) è arrivato alla fine (in cauda venenum) con la presenza di Claudio Martelli chiamato a dirimere l’annosa questione del Battisti accusato di destrismo, attraverso una ricostruzione del clima culturale dell’epoca. Quale autorità sul piano storico abbia Martelli per svolgere questo compito non è dato sapere. Infatti è riuscito a proporre una lettura banale e pericolosa del problema, mescolando e confondendo tre livelli che sono storicamente ben distinti. Una cosa è la leggenda metropolitana di Ordine nuovo nata su un equivoco (ma forse si poteva anche spiegare che cosa fosse Ordine nuovo, non proprio una compagnia di buontemponi). Altra cosa sono le violenze esercitate in alcuni concerti dagli “autonomi” contro cantanti considerati “borghesi” (De Gregori, pensa un po’!). Altra cosa ancora è lo scetticismo o l’avversione che Battisti e Mogol suscitavano presso i giovani impegnati e amanti di altro tipo di musica e di testi poetici. L’aneddoto raccontato da Martelli, che narra di Dario Fo invitato in un circolo socialista, dove attaccò duramente le canzoni della celebre coppia accusandole di eccessi estetizzanti, di dannunzianesimo, è quanto mai esemplare di questa volontà di confusione storiografica. Il giudizio di Dario Fo, che tanto scandalizza il nostro, condivisibile o meno, è un giudizio basato su categorie critiche, per nulla infamante, tanto meno violento. Ora un conto è dare a uno immotivatamente del fascista, un conto è interrompere un concerto, un altro conto è esprimere giudizi basati su un’analisi testuale. Ma a Martelli queste differenze sfuggono o gli fa comodo farsele sfuggire, fare di ogni erba un fascio e demonizzare il ’68 e dintorni. L’obbiettivo è far dimenticare come, in quegli anni, accanto a violenze e stupidaggini, esistesse anche un uso del pensiero, dell’analisi critica e dell’argomentazione, una tendenza al confronto di idee che si sviluppava attorno a un libro, a un film, a una canzonetta: segni di un profondo costume democratico spazzati via dall’avvento della cultura dei nani e delle ballerine tanto cara a un certo entourage politico.  

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