Hanno raggiunto una consapevolezza. “Con l’occupazione chiudiamo la scuola tra quattro mura, con l’autogestione invece la vogliamo aprire, vogliamo far uscire da qui proposte innovative coinvolgendo quel pezzo di società che sta fuori”. Seline Telio ha 18 anni ed è una dei rappresentanti d’istituto tecnico e professionale Manfredi Tanari di Bologna. Le fa eco un coetaneo, Francesco Limoni, che frequenta la 4A. “Vogliamo protestare arrivando soprattutto su Internet, ma vogliamo farlo avendo chiaro ciò di cui parliamo”. E in un altro istituto, il tecnico industriale Aldini Valeriani-Sirani, il rappresentante degli studenti Federico Valentino aggiunge: “Autogestendo vogliamo coinvolgere i professori, che hanno dimostrato di volerci aiutare. Sarebbe stupido lasciarli fuori occupando”.

Seline e Francesco del Tanari vengono da giorni di autogestione e altri ne rimangono, come concordato con la preside Paola Calenda. Alla fine dell’esperienza sono invece Federico e gli altri delle Aldini Valeriani, che per una settimana hanno portato avanti le loro mobilitazioni coordinandosi con il dirigente scolastico Salvatore Grillo. E i ragazzi che protestano, anche all’interno delle singole scuole, non la pensano affatto allo stesso modo su tutto, ma hanno deciso che l’occupazione non sarebbe stata la via migliore perché i guai da affrontare, tra rischio sgombero e presidio del “fortino”, sarebbero stati più pressanti delle istanze politiche da formulare e le attività di organizzare. Inoltre ci si metta che in molti reputano l’occupazione tout court uno strumento da superare per trovare forme che, a loro avviso, raggiungano risultati concreti.

E così in diversi istituti hanno deciso di non rinunciare alla protesta. Anzi, nelle loro intenzioni la rafforzano senza rischiare denunce, ma concentrandosi sui contenuti. A dirla tutta, complice della scelta a favore dell’autogestione è stato un maresciallo dei carabinieri, un “negoziatore”, di quelli che intervengono in situazioni ben diverse, quando occorre convincere un sequestratore a rilasciare i suoi ostaggi o un potenziale suicida a desistere da propositi autodistruttivi. Questa volta, invece, il negoziatore interviene perché il muro contro muro tra studenti e corpo docente sarebbe poco produttivo. E così, se da un lato il sottufficiale del comando provinciale di Bologna – come sta facendo da un anno a questa parte in diversi istituti superiori – spiega ai ragazzi le conseguenze sul piano penale di un’occupazione, dall’altro da terzo prospetta soluzioni alternative quando gli interessi dei studenti e delle dirigenze divergono. Un punto rimane fermo per lui: la protesta dei ragazzi è sacrosanta e che non solo non va stroncata, ma va esaltata all’interno di binari di legalità.

Seline dice che “abbiamo scoperto da ieri che i carabinieri possono aiutarci”, ma difficile è stato convincere gli altri studenti. “Ci strumentalizzano”, è stata la reazione a caldo, “quello è uno psicologo che vuole manipolarci”. E invece nessuno ha suggerito niente, nessuno ha convinto i ragazzi  tornare ai compiti in classe e alle interrogazioni. Le esperienze dei ragazzi del Tanari – come per esempio l’aula dibattito inaugurata nel precedente anno scolastico da Francesco e da Cesario Signore – hanno raggiunto nell’autogestione il picco di presenze. “Siamo partiti in cinque”, dicono, “adesso siamo arrivati a trenta studenti e in questi giorni ce ne sono stati anche cinquanta”. Alle Aldini, poi, il primo impatto con il militare è stato “un po’ sconvolgente”, afferma Lorenzo Cacciari, al quarto anno di elettrotecnica. “È una figura del tutto diversa da quello che ci aspettavamo. Ma da lui ci siamo fatti capire ed è stato un alleato nelle nostre rivendicazioni”.

L’istituto Tanari è una scuola frequentata da poco meno di un migliaio di ragazzi. L’autogestione qui era partita bene sotto la guida di un insegnante e con l’avvallo della preside, poi un equivoco ha incrinato i rapporti ed è scattata l’occupazione. A quel punto la preside Paola Calenda ha chiesto l’intervento di quei carabinieri che si erano resi disponibili arrivando a un risultato positivo. E l’autogestione è un risultato dei ragazzi guadagnato giorno per giorno, dibattito per dibattito, che gli organizzatori si godono. Tra tornei di calcetto e di pallavolo alternati ad approfondimenti sulla violenza sulle donne e a “lezioni” tenute da chi per arte realizza murales in spazi messi a disposizione dai Comuni, il futuro della scuola rimane al centro del dibattito. Francesco è a favore della legge Aprea sull’autonomia, ritenuta da altri a rischio dall’ingresso dei privati nei consigli degli istituti scolastici. Ed è a favore anche della scuola privata “perché una forma meritocratica fa prendere coscienza ai figli dei sacrifici delle famiglie”. Ma c’è chi la pensa del tutto all’opposto. “Ognuno ha diritto all’istruzione pubblica”, ribatte Andrea Luglio, al quarto anno di ragioneria. “In un’epoca di crisi come questa, poi, è impensabile che si pensi di privatizzare la scuola. Questo è un tema che non può essere messo in discussione e coloro che protestano non sono giovani senza voglia di fare. Inoltre abbiamo condiviso la protesta dei professori perché sappiamo che il loro lavoro non si limita alle sole ore di lezione frontale”.

Se i ragazzi delle Tanari auspicherebbero a un maggior coinvolgimento dei loro stessi insegnanti, rimangono anche altre questioni sul piatto. “Le aule sono sovraffollate e quelle con le lavagne multimediali rimangono troppo poche mentre i dirigenti subiscono tagli ingiusti per la scuola pubblica”, dice Seline. Aspirano ai tablet che sostituiscono i libri cartacei e a software che aiutino anche i ragazzi con difficoltà, come quelli per i dislessici. Ma la loro intenzione rimane comunque quella di aprirsi all’esterno. Racconta ancora la rappresentante degli studenti: “In questi giorni abbiamo incontrato i delegati della Fiom, c’è stato un partigiano che ci ha parlato della Resistenza, abbiamo dialogato con rappresentanti di Articolo 33 per il referendum sulla scuola pubblica. Perché quello che vogliamo è aprire i cancelli, la scuola deve essere aperta”.

Le Aldini Valeriani-Sirani, invece, di studenti ne contano 1.750 circa, suddivisi in corsi diurni e serali. Una difficoltà ulteriore mettere insieme le istanze di chi va a scuola il mattino e di chi invece ci va in altri orari. Inoltre è un istituto a forte presenza multietnica e il tema immigrazione è un altro che, oltre a quelli strettamente scolastici, è ben presente tra i ragazzi. Hamed, d’origine tunisina e non ancora maggiorenne, dice in proposito: “Quello della clandestinità è un grave problema generato dalla legge Bossi-Fini di cui a volte ci si scorda. Sono in Italia da 16 anni e quando diventerò maggiorenne, se non otterrò un permesso di soggiorno per lavoro o per studio, rischio l’espulsione. Come me tanti ragazzi e questo non è assurdo? Nella nostra vita in Italia abbiamo creato relazioni, facciamo progetti in questo Paese. Però possiamo diventare irregolari e come tali trasformarci in un giorno o nell’altro in gente da cacciare”.

Ma qui, alle Aldini Valeriani, una delle 25 scuole che tra Bologna e provincia sono in agitazione e dove di recente c’è stata Handimatica, fiera biennale sulle tecnologie a supporto dell’handicap, ricevendo inoltre dagli americani di Haas Automation un laboratorio tecnico che vale 300 mila euro,  c’è anche un filo di disillusione. David Karamzadeh, padre iraniano ed esponente della consulta degli studenti, suggerisce di “spostare le mobilitazioni a febbraio. Sarebbe un segnale rispetto rispetto a quella che sembra una ‘tradizione’, protestare d’autunno. E a protestare non siamo mai abbastanza sull’intero corpo studentesco”.

Concorda Rita, al primo anno di grafica e comunicazione, che sottolinea come nella sua classe “su 26 ragazzi solo 5 hanno aderito alle mobilitazioni. Io però continuo perché ci si deve mettere in gioco, è un nostro diritto”. Ma per i ragazzi che stanno a casa quando si fa autogestione, ce ne sono altri che sono tornati anche dopo il diploma. È il caso di Antonio Lardo, ex rappresentante degli studenti che si è diplomato l’estate scorsa finendo nel limbo della disoccupazione. “Anche questo è amore per la scuola, essere qui con i miei ex compagni in un momento in cui è importante partecipare”.

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