Attenzione, perché sulle “quote rosa” anche Angela Merkel si sta incavolando, per usare un eufemismo. La Cancelliera tedesca, infatti, il 4 dicembre, non soltanto ha chiesto la pronta attuazione in Germania degli orientamenti governativi che puntano a favorire un aumento delle donne in posizioni manageriali nelle aziende, ma ha anche minacciato provvedimenti di legge in caso di mancato rispetto delle stesse norme. “Su questo tema sto perdendo la pazienza, voglio vedere finalmente dei risultati – ha detto Merkel nel suo intervento al congresso nazionale della Cdu (Christian democratic union, l’Unione cristiano democratica di Germania) ad Hannover – le imprese devono agire e non abusare della fiducia preventiva di cui hanno goduto finora”. Quanto alle argomentazioni a favore delle quote rosa, tema controverso, la Cancelliera tedesca ha dichiarato: “Visto che le donne sono in maggioranza negli studi e al passaggio della maturità, non ci si spiega perché ce ne siano così poche ai livelli dirigenziali“.

E se la Germania è alle prese con l’attuazione della legge sulle quote rosa, in Italia è già operativa dalla metà dello scorso agosto e stabilisce che negli organi di amministrazione e controllo delle aziende quotate e pubbliche sia riservato al genere femminile in un primo momento il 20 per cento dei posti disponibili e successivamente il 33 per cento. Dal 2022, in ogni caso, la legge italiana sulle quote rosa esaurirà la propria efficacia.

Dal rapporto di Consob sulla corporate governance, ossia sugli assetti ai vertici delle società quotate, la cui prima edizione è stata pubblicata il 3 dicembre, emerge un graduale – seppure lento e probabilmente ancora insufficiente – incremento dell’uguaglianza di genere. Secondo l’indagine della Commissione di vigilanza di Borsa, che analizza la situazione appena antecedente all’introduzione delle quote rosa, nel 2008, le donne presenti negli organi di amministrazione erano 170, cresciute a 173 nel 2009, a 182 nel 2010 e a 193 nel 2011. Dato, quest’ultimo, che corrisponde ad appena il 7,4 per cento dei componenti totali dei consigli delle società quotate, il che significa che la strada da percorrere è ancora lunga prima di arrivare a quel 20 per cento di presenza femminile ora previsto dalla legge.

E proprio in Consob, lo scorso giugno, è nata un’associazione di donne che, come spiega una portavoce dell’Authority di vigilanza dei mercati, si propone di “partecipare al dibattito in corso sulla parità tra generi” e “dare un contributo per accelerare il cambiamento culturale che si è avviato nel mondo del lavoro”. Ciò perché “in tutte le realtà professionali c’è bisogno di attivare politiche e strumenti che consentano di raggiungere un migliore equilibrio tra generi e tra vita lavorativa e personale, con sicuri benefici in termini di risultati globali”. L’associazione, che sta preparando il proprio sito internet, ha già raccolto 100 adesioni tra le sedi di Consob di Roma e Milano, su un totale di 628 dipendenti, il 49% dei quali donne.

L’iniziativa è nata in scia a quella, analoga, delle donne che lavorano alla Banca d’Italia. Già dal 2007, infatti, è operativa l’Associazione donne della Banca d’Italia (Adbi), che, secondo quanto si legge sul sito della stessa, è “indipendente, priva di connotazioni politiche, sindacali, religiose, con l’obiettivo di valorizzare il ruolo delle donne e il loro contributo professionale all’interno della Banca d’Italia, contribuendo al processo di trasformazione culturale necessario per eliminare le discriminazioni di genere“.

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