Chi ancora crede che sia la religione a costituire “l’oppio dei popoli” deve rassegnarsi ad ammettere di aver preso una cantonata pazzesca.

Chi pensa che per evitare disordini bisogna pianificare la “manganellatio preventiva”, anche lui capisce poco di ordine pubblico e ancor meno di gestione di situazioni ad alta criticità sociale.

I più adatti strumenti per costringere masse furenti a mantenere la calma sono i normalissimi e sempre più diffusi dispositivi di comunicazione mobile. E l’arsenale di telefonini, smartphone, palmari e “i-Qualchecosa” non deve essere distribuito alle forze di polizia o ai contingenti di vigilantes, perché stiamo parlando di congegni autocostrittivi capaci di esercitare le loro funzioni su chi li possiede senza conoscerne la tanto segreta quanto efficace potenzialità.

Aeroporto di Roma Fiumicino, gate B22, ore 21.

I passeggeri diretti a Bari Palese si mettono in coda per l’imbarco. Il primo di loro, scopriremo solo dopo essere un americano, discute in maniera decisa con la hostess dello scalo. Improvvisamente si volta e si allontana dalla fila e tradisce le sue radici con un nitido “fuck-off” che somiglia tanto a “take-off” e che nell’occasione ha proprio a che fare con il decollo. L’esclamazione non propriamente aeronautica fa intendere che qualcosa che non va.

Davanti a me, una signora tranquillizza la figliola dicendo “Non ti preoccupare, cara, questo volo parte. E’ l’altro che ha due ore di ritardo”.

Alzo gli occhi, e con me molti altri, e leggo “Milano, boarding 20:00”. Stropiccio gli occhi (forse sto troppo dinanzi al computer, ma se mi metto dietro non riesco a scrivere!) e controllo. Sì, la scritta Bari – fissata a lungo durante l’attesa – si è dissolta lasciando il posto all’indicazione del capoluogo meneghino.

Nessuno ci ha avvisati. Comincio a pensare che la signora poc’anzi davanti a me fosse una veggente, una cyber guerriera fuori servizio oppure la depositaria del dodicesimo segreto di Fatima.

Mi guardo attorno e temo una sommossa. Niente affatto.

In condizioni pressoché ipnotiche gli utenti della compagnia di bandiera non hanno ancora compreso quale sia la loro sorte. Qualcuno continua imperterrito la coda fino a farsi respingere. Poco alla volta i viaggiatori con destinazione Palese sono costretti a constatare che il volo – come la pancia di Mimmo Craig nella vetusta pubblicità dell’Olio Sasso – non c’è più. O, meglio, è stato “rinviato”.

Naturalmente Alitalia – forse per non disturbare – non si prende briga di informare e ancor meno di scusarsi delle due ore di ritardo in partenza, ma nessuno decide di incendiare lo scalo aeroportuale, trucidare il personale di servizio, dar luogo a pirotecniche reazioni dai cruenti risvolti. Non succede nulla.

Inebetita dalla rassegnazione di vivere in un Paese dove non funziona più nulla, la gente non insorge. Forse teme di essere sedata come toccato in sorte al giovane spagnolo morto a Ciampino, magari non vuole dare soddisfazione a quelli della compagnia aerea che probabilmente stanno facendo il “test Catilina” per avere un feedback sulla pazienza di chi sceglie un volo AZ.

Tutti si sono quietati con il rispettivo erede del Tamagochi: telefonini più o meno a la page hanno calamitato l’attenzione anche dei più facinorosi. Tutti a pigiare tasti o a strofinare i touchscreen come Aladino avrebbe fatto con la sua lampada. Chiamate, sms, messaggi di posta elettronica, qualche web al volo. Le poche bestemmie sono quelle di chi trovava occupato il numero di proprio interesse o di chi non riesce a connettersi a Internet.

In simili condizioni ci si poteva immaginare una mutazione genetica collettiva in agguerriti black-bloc e invece calma piatta.

Forse era una giornata particolare, la stessa in cui nei flash che scorrono nella parte inferiore dello schermo nel corso dei telegiornali si leggeva che le motivazioni del licenziamento del mitico comandante Schettino non configuravano adeguatamente la giusta causa.

Alle 23,35 circa – quasi dispiaciuti di aver visto partire tutti, ma proprio tutti – si viene chiamati per salire sul bus e poi a bordo. Solo allora il laconico speaker chiude la sua breve comunicazione con un ancor più telegrafico “sorry for the delay” con cui si mostrava spiacente per il ritardo. Avesse mai saputo quanto lo eravamo noi…

Una volta sistemati nell’aeromobile, una voce proporzionale alla professionalità che aveva caratterizzato le performance precedenti della omogenea squadra ha tentato di giustificare il ritardo. Per un attimo ai passeggeri (finalmente definibili tali) hanno provato un’emozione seconda solo a quella di Bernardette. Nessuna apparizione di Nostra Signora (nessuno aveva invocato Madonne come avrebbe fatto il blasfemo di turno stremato dall’attesa), ma quella di John Belushi nel suo indimenticabile monologo in cui assicura alla ex fidanzata che “non è stata colpa sua” e che ogni addebito andava indirizzato all’invasione delle cavallette e ad altri eventi imponderabili.

A mezzanotte e pochi minuti via verso Bari.

Di colpo mi sono ricordato del vecchio sgradevole gioco di parole in inglese con cui ogni lettera della parola Alitalia portava a comporre la frase secondo la quale le mostre linee aeree sono le ultime a partire e le ultime ad arrivare. Always Last in Take-off Always Last In Arrival. Promessa mantenuta. Segno che l’azienda si rinnova ma le tradizioni sono salve.

umberto@rapetto.it

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