Presunta corruzione internazionale riguardo a contratti stipulati in Algeria “per fatti avvenuti prima del 2009”. Costa caro all’amministratore delegato del gruppo Saipem l’indagine avviata dalla Procura di Milano. Pietro Franco Tali, infatti, è stato costretto a rassegnare le sue dimissioni dalle cariche di consigliere, vice presidente e amministratore delegato durante il consiglio d’amministrazione di oggi. Le sue deleghe saranno prese da Umberto Vergine, attuale direttore generale della controllante Eni per la divisione gas & power, chiamato a gestire l’azienda in questa delicata fase. Anche il direttore generale della divisione Engineering and construction di Saipem – Pietro Varone – è oggetto di un provvedimento cautelativo interno: è stato infatti sospeso dai poteri in attesa che si compiano le necessarie verifiche. A questa decisione si è giunti a seguito del coinvolgimento della società in questa indagine ai sensi della legge 231 del 2001, che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, e quindi anche delle società, per fatti delittuosi commessi dai propri vertici apicali. Anche un altro dirigente, di cui non si conosce al momento il nome, è stato sospeso. Motivo per il quale Saipem ha dichiarato, in comunicato emesso a Borsa chiusa, di aver disposto un’attività di indagine interna da svolgersi “con il coinvolgimento di consulenti esterni, volte alla verifica della corretta applicazione delle procedure in tema di anticorruzione e prevenzione di attività illecite adottate dalla società”. Anche il direttore finanziario di Eni, Alessandro Bernini lascia. Il manager, già Cfo della controllata Saipem fino al 2008, si è dimesso “pur ritenendo il proprio operato corretto” per meglio tutelare gli interessi della società.

La reazione della Borsa è stata conseguente ai rumors che arrivavano da palazzo di giustizia: i titoli hanno perso il 4,33% chiudendo le contrattazioni a 32,68 euro. Per la sua controllante Eni una chiusura pressoché invariata a 18 euro, ma dopo una seduta passata quasi interamente in buon rialzo. Lo tsunami che ha colpito la Saipem sarebbe figlio del terremoto che ha colpito qualche settimana fa Sonatrach, la compagnia di stato algerina che estrae e commercializza il gas, di cui l’Italia è grande acquirente (30% del nostro import totale di gas all’incirca) tramite il gasdotto Transmed, che passa per la Tunisia. Lo scandalo Sonatrach è costato il posto al suo presidente Mohamed Meziane e ad altri 15 dirigenti, prima di far sentire i suoi effetti anche in Italia.

Nel paese nordafricano sarebbero tre i filoni d’inchiesta: il primo, che riguarda la società italiana direttamente, è relativo a una fornitura a Sonatrach da complessivi 580 milioni di dollari relativa un gasdotto denominato GK3, nel tratto che avrebbe dovuto collegare le località di Mechtatine a Tamlouka, nel nord est del Paese, e poi fino alla località costiera di Skikda and El-Kala. Un progetto prodromico al Galsi, il gasdotto che entro il 2014 dovrebbe collegare l’Algeria alla Sardegna. Anche la tedesca Contel Funkwerk Plettac e l’americana CCIC sarebbero sotto accusa, rispettivamente per contratti da 142 e 100 milioni di dollari. Da ricordare che Saipem, tramite la sua incorporata Snam, incappò qualche tempo fa in un’indagine internazionale per la costruzione di un gassificatore in Nigeria, di cui si è occupato a lungo in Italia il pm Fabio De Pasquale, che potrebbe avere in carico anche questa.

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