Perdonatemi. Abituato a far confessare gli altri, stavolta sono io a vuotare il sacco.

Ebbene sì. Ho deciso di aprire un blog nella consapevolezza che questo impegno mi avrebbe assorbito solo una ventina di giorni. Oltretutto, se i Maya ci avessero azzeccato, sarebbe stato un peccato non aver mai avuto un diario sul web.

In realtà non credo affatto a nessun genere di profezia, ma stavolta posso solo contestare l’errore nella data. Niente 21 dicembre, ma 23 novembre. Sì quello già passato.

E’ il giorno in cui mi è arrivata un’altra moto. E ve lo posso giurare, è meravigliosa. Anzi. E’ proprio la fine del mondo.

Ma nonostante questo evento – destinato a stravolgere gli equilibri almeno miei personali, sia già avvenuto – eccomi qua a scrivere con la terrificante (questa sì!) promessa di farlo con grande frequenza.

E voglio cominciare giustificando i Maya che non potevano immaginare che l’autotrasportatore avrebbe anticipato la consegna a dispetto di una rigida pianificazione a calendario. Al tempo stesso la loro sfegatata passione per le due ruote e la cognizione che queste possono stravolgere la vita del pianeta mi muovono ad immediata simpatia.

Lo spunto per l’avvio di questa avventura online è, in realtà, la constatazione che se non finirà il mondo è quasi certo che finiranno le penne.

Dopo aver assistito all’eclissi dei calamai che tanto hanno tormentato la mia infanzia e mi hanno fatto innamorare delle stilografiche, ho timore di ritrovarmi spettatore di un’ulteriore drammatica scomparsa.

La radice di quest’ansia è in un libro. Si intitola “The missing ink – the lost art of handwriting”, ovvero l’inchiostro sparito, l’arte perduta della calligrafia. Lo ha scritto Philip Michael Hensher, che regala l’opportunità di riflettere su quanto ci sta accadendo e di quello che andrà perduto nel completarsi del passaggio dalla penna alla tastiera ormai inesorabilmente prossimo al traguardo.

La fine delle penne sarà il tramonto delle occasioni per interpretare la scrittura o anche solo per immaginare gli stati d’animo che l’hanno accompagnata, sarà la morte di una peculiarità di ciascuno di noi e della possibilità di farci conoscere e riconoscere, sarà il crollo del diffuso malvezzo di rosicchiare il cappuccio o l’estremità dell’inseparabile strumento di scrittura, sarà l’ennesima massificazione globale con la creazione di poche etnie distinte soltanto dal font di prevalente utilizzo…

Armato di pc portatile da un quarto di secolo, mi sento un po’ colpevole anch’io. L’ho fatto per necessità, per fretta…

Ma il gusto di lasciare un biglietto mi è rimasto. E mi è restata anche la speranza che la mia grafia riesca a dire quel che le parole non sono state capaci di esprimere.

umberto@rapetto.it

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