Sono per il sindaco d’Italia” e “vorrei la legge dei sindaci” per eleggere il Parlamento nazionale. Queste parole di Matteo Renzi, dette durante il confronto tv di ieri sera su Rai Uno, sono state sorprendentemente ignorate da tutta la stampa che ho letto fino al momento in cui scrivo questo pezzo.

La cosa è davvero strana, perché l’espressione “sindaco d’Italia” non è un’espressione politologicamente neutra. Significa elezione diretta del capo del governo ed è, infatti, un sinonimo di “presidenzialismo”. L’espressione “sindaco d’Italia” è stata coniata per primo da Mariotto Segni nel 1996, vale a dire tre anni dopo la felicissima riforma della legge elettorale dei Comuni. Nel 1996 Mariotto Segni si era alleato, senza candidarsi direttamente, a Lamberto Dini nelle liste di Rinnovamento Italiano, all’interno della coalizione del centrosinistra che sosteneva Romano Prodi. Insoddisfatto del risultato (elettorale e politico) raggiunto, si era ritirato per qualche mese dalla politica per poi appunto tornare nell’agone politico con quest’idea del “sindaco d’Italia”. Era la prima volta che un politico di centrosinistra apriva all’ipotesi presidenzialista che, storicamente, è sempre stata in Italia un cavallo di battaglia della Destra. Il Pci e la Dc, infatti, hanno sempre temuto che da un sistema presidenzialista potesse rinascere in Italia un nuovo regime alla Mussolini, e hanno  guardato alle esperienze statunitensi e francesi (forme di presidenzialismo di grande garanzia democratica) con grande scetticismo.

La riforma del “sindaco d’Italia” è stata poi sostenuta e adoperata anche da Dario Franceschini nel 2008, quando era il vice-segretario del Pd. Franceschini fu criticato pesantemente dalla Sinistra e lodato da An e dall’Udeur. Più di recente, nel maggio 2012, la stessa identica proposta di riforma “del sindaco d’Italia col doppio turno” è stata sostenuta dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno ed è tuttora gradita al Presidente della Camera, Fini.

Se si mette insieme questo tipo di riforma con il resto di ciò che si legge nel sito di Matteo Renzi riguardo alla forma di governo, si ha che Renzi prospetta un sistema sostanzialmente unicamerale (o comunque un sistema bicamerale profondamente imperfetto, la cosa non è chiara) con 500 parlamentari eletti con un sistema a doppio turno con liste di preferenza ed elezione diretta del Presidente del Consiglio. Davvero una rivoluzione per il sistema italiano, che passerebbe da un parlamentarismo bicamerale perfetto a un presidenzialismo unicamerale maggioritario.

Bersani, al contrario, vuole un sistema parlamentare (come ha dichiarato scandendo la questione) con una legge a doppio turno di collegio (in ogni collegio si candida un rappresentante per ogni coalizione).

Se anche queste due proposte sono state da molti recepite come affini, non potrebbero essere più diverse. Per estremizzare, la differenza fra queste due proposte è sufficiente per decidere chi votare al ballottaggio del 2 dicembre. Ritardatari dell’iscrizione inclusi.

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