L’accordo per l’ennesimo salvataggio della Grecia raggiunto dall’Eurogruppo martedì notte sfida apertamente le leggi dell’economia, della sociologia e della matematica. La fantasia al potere, noto slogan del ’68, ha trovato la sua concretizzazione nei fantasiosi piani finanziari elaborati dagli euroburocrati.

Il debito Greco, oramai arrivato al 190% del PIL dovrebbe scendere al 110% entro il 2023, questo obiettivo non sarò raggiunto attraverso una cancellazione del 50% dei debiti verso gli altri paesi europei, come proponeva il FMI e l’Olanda, ma attraverso una serie di piccole misure che comprendono: l’abbassamento di 1% dei tassi sui prestiti ricevuti dagli altri Stati (dal 1,50% allo 0,50%), l’allungamento del debito di 15 anni, un periodo di non pagamento interessi di 10 anni.

Inoltre l’Euro area verserà alla Grecia 44 miliardi di euro in più tranches di cui 24 sono destinati esclusivamente alle banche greche, che li utilizzeranno per ripagare i debiti verso gli istituti di credito stranieri, in primis francesi e tedeschi. Per raggiunger il fantasmagorico obiettivo di un rapporto debito/Pil al 110% Atene si impegna a raggiungere l’incredibile cifra di un avanzo primario del 4,5% del PIL nel 2016. In pratica per ogni 100 euro di ricchezza generata dal paese lo Stato ne dovrebbe mettere da parte 4,5, si tenga conto che oggi la Grecia ha un deficit del 9% del Pil.

Il governo greco dovrebbe dunque recuperare 13 punti di Pil di cassa e sostenere questo sforzo per i prossimi 11 anni. Il grande merito del presidente dell’Eurogruppo Junker è stato quello di presentare tali dati senza mettersi a ridere, sostenendo invece che in questo modo “ il debito greco è su un percorso di sostenibilità”.  

Il mercato si è dimostrato indifferente a tale soluzione, la convinzione degli operatori è che, dopo le elezioni in Germania, Angela Merkel accetterà una perdita sui crediti verso la Greci e sarà più favorevole ad un perdono del debito. Ma questo ottimismo di fondo potrebbe a breve scontrarsi con la realtà che proviene dai dati economici degli altri paesi dell’Euro area e dal perverso meccanismo di finanziamento dei paesi in crisi. Un perdono del 50% del debito costerebbe all’Italia almeno 20 miliardi di euro, sempre che Portogallo ed Irlanda non chiedano lo stesso trattamento.

Inoltre una richiesta di aiuto da parte della Spagna costringerebbe il nostro paese a contribuire con non meno di 50 miliardi di garanzie. In pratica il perdono di un qualsiasi debito o l’esborso di un gigantesco prestito alla Spagna rimetterebbe in crisi tutto il meccanismo a causa della debolezza delle finanze pubbliche dell’ultimo dei PIIGS, l’Italia appunto.

L’Ocse ha certificato questa debolezza pronosticando nuove manovre finanziarie sia per il 2013 che per il 2014, il ministro Grilli ha prontamente smentito ma purtroppo per noi la credibilità del Ministero delle Finanze sulle previsioni economiche è al minimo storico avendo pronosticato una crescita zero per il 2012 ed essendo arrivati ad un dato negativo superiore ai due punti percentuali. 

L’operazione dell’Eurogruppo appare quindi per quello che è, un ulteriore rinvio che incentiva gli operatori economici a continuare a beneficiare delle ricche cedole sui titoli di Stato fino a quando un nuovo problema non si presenterà all’orizzonte. Nelle sale cambi delle grandi banche è già iniziato il conto alla rovescia, sono in molti a prevedere che i dati economici del primo trimestre 2013 per Italia e Spagna saranno estremamente deludenti e metteranno alla luce la necessità per Roma di attuare una manovra finanziaria di almeno 20 miliardi di euro che andrà a ricadere su un’economia già in profonda crisi.

Il meccanismo di avvitamento della crisi europea è in pieno funzionamento e stritolerà sempre di più i redditi di imprese e famiglie fino a quando scopriremo che anche per noi il debito è insostenibile. Gli euroburocrati si presenteranno allora con un nuovo e mirabolante piano dei sogni, quando questo accadrà dobbiamo sperare di avere un governo che non si addormenti.

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