Repormour? E sarebbe?

Seguitemi e ci arriviamo insieme…

Tra le poche certezze ancora presenti nel campo della fotografia, una si chiama calendario Pirelli, detto “The Cal” tra gli affezionati.
E’ il suo quarantesimo anno, anni scanditi da dozzine – letteralmente dozzine – di bellezze femminili più o meno vestite. Tendenzialmente meno.

Realizzato con dovizia di mezzi, il calendario Pirelli si è storicamente sempre avvalso di grandi firme della fotografia, da Avedon a Ritts, da Weber alla Leibovitz, da Giacobetti a Lindbergh, tra gli altri. Per non parlare delle top model e dei personaggi famosi ritratti.
Dunque, sul piano della qualità, livelli altissimi. Una ricerca di bellezza sempre nuova e dunque, a suo modo, avvincente.

Quest’anno, grandi segnali di cambiamento.
Cambia il “genere” di fotografo chiamato, per la prima volta un fotoreporter. E non uno qualunque, ma nientemeno che Steve McCurry, un grande; fotografo per il National Geographic, in viaggio perenne tra guerre e Paesi lontani, ha sempre prodotto grandi servizi. E’ universalmente conosciuto, tra l’altro, per il famoso ritratto della ragazza afgana, poi ritrovata dopo 17 anni.
Membro dell’agenzia Magnum, una sua grande mostra retrospettiva, per chi ha occasione, è in corso a Genova (Palazzo Ducale) fino al 24 febbraio 2013.

Poi cambia il formato, che da classico calendario diventa una sorta di libro, col conseguente aumento nel numero delle foto utilizzate, ora 34.

Ma la “mutazione” più sottolineata e sbandierata è quella del maggior rispetto verso il ruolo della donna: da oggetto erotico nelle edizioni precedenti, a donna impegnata – e vestita – questa volta. Modelle e attrici fotografate sono tutte accomunate dal loro coinvolgimento sociale e civile a favore di vari progetti umanitari; le immagini sono ambientate nelle strade di Rio, dunque “nella vita vera”, e ad enfatizzare il mood reportage altre foto di situazioni reali (?) scandiscono l’editing complessivo.
Va detto: il risultato è seducente, quell’uso del colore di cui McCurry è maestro c’è tutto, e la narrazione ora più articolata allontana la monotonia solitamente connaturata ai calendari.

Dunque. Il fotografo è un reporter, lo stile è quello del reportage ma… non è reportage. Nemmeno si può affermare – per contro – che si tratti di un lavoro giocato esclusivamente in chiave glamour.
E allora diciamo che è un calendario di repormour: scusate, se esiste la parola docufiction (documentario+fiction), per quale ragione non dovrebbe esistere il termine repormour (reportage+glamour) appena inventato?
Ibridare, ibridare e ancora ibridare, questa la parola d’ordine.
Anche la fotografia va “ibridata”. Ma già lo fa su tutti i fronti e da tempo, dunque sotto questo aspetto non si vede una grande novità.

Nulla più è vero, nulla più è finto, tutto è verosimile.
I ragazzi che praticano la capoeira sono colti al volo o recitano a favore del fotografo? La contaminazione tra reale e artefatto è insondabile, di solito a scapito del reale. E, a onor del vero, è sempre stato così.

A ben guardare, sono passati già 25 anni da quando il nostro Ferdinando Scianna fotografò la modella Marpessa a spasso per i quartieri popolari e i mercati di Palermo; quella era un’operazione fotograficamente, dal mio punto di vista, assai più intrigante: in qualche modo era ancora vero reportage (sia pure al servizio della moda), nel senso che raccontava lo sbarco di una marziana vestita “alla siciliana” tra la gente, e tutto viveva nel cortocircuito tra la presenza della modella e gli sguardi ora curiosi, ora divertiti, ora intimiditi di persone vere, uomini e donne che possono essere belli ma anche no. Come noi.

Perché comunque in “The Cal”, ancora una volta, di donne meno che bellissime nessuna traccia.

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