Ci sono interessi perché l’Ilva chiuda. Lo dice il ministro dell’Ambiente Corrado Clini a Radio Anch’io. Ancora una volta è il titolare della delega all’Ambiente a essere in prima linea (quasi isolato) nel lavoro del governo per risolvere la questione dello stabilimento pugliese per la quale il governo sta pensando a un decreto. Clini sembra fare una retromarcia sull’ipotesi avanzata ieri di riproporre per l’Ilva il modello Acerra. E’ “una soluzione un po’ remota” dice oggi.

“Ci sono interessi politici espliciti – aggiunge – di chi anche nei mesi scorsi in campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Taranto ha chiesto ripetutamente la chiusura dell’impianto; c’è evidentemente una valutazione della magistratura che sostanzialmente ha chiesto la chiusura; ci sono poi interessi oggettivi, non dico che c’è un grande vecchio dietro, ma interessi oggettivi perché se chiude l’Ilva i concorrenti europei e quelli asiatici fanno festa”. Bisogna aver chiaro, ha proseguito, “qual è il gioco e nessuno di noi può far finta di non sapere. La protezione della salute e dell’ambiente non si assicurano chiudendo l’impianto perché la sua chiusura lascerebbe lì un deserto inquinato. La chiusura infatti deriverebbe da un contenzioso tra l’Ilva e la magistratura che è appena iniziato. Prima che la questione arrivi in dibattimento, come già visto in molti altri siti italiani, le cose rimangono lì per anni”. 

Insomma, per Clini “se l’Ilva di Taranto viene chiusa, quello stabilimento viene abbandonato: i vantaggi per l’ambiente sono zero mentre i rischi per la salute sono altissimi”, mentre “come indica chiaramente l’Unione europea la strategia di risanamento ambientale degli impianti industriali avviene attraverso il loro risanamento non la chiusura”. “Mettere a rischio la produzione industriale del settore dell’acciaio – spiega il ministro – vuol dire creare un effetto domino sul piano economico e sociale ma anche su quello ambientale”. “Con il presidente Vendola – ha aggiunto il ministro Clini – abbiamo condiviso l’autorizzazione integrata ambientale nella quale abbiamo previsto particolare intervento per la protezione della salute. Abbiamo collaborato in maniera molto positiva. Spero che ci facciano lavorare”. 

Tranquillità apparente, intanto, sembra esserci nello stabilimento, dove stamani sono entrati regolarmente al lavoro i dipendenti degli impianti dell’area a caldo, sotto sequestro dal 26 luglio scorso, mentre restano a casa in ferie forzate, su disposizione dell’azienda, i lavoratori dell’area a freddo.

Non ci sono sit-in né presidi dinanzi alle portinerie. I sindacati Fim, Fiom e Uilm stanno organizzando i lavoratori per recarsi a Roma in coincidenza con la riunione a Palazzo Chigi del governo, che dovrebbe emanare un decreto legge che consenta la continuità produttiva dello stabilimento siderurgico, superando il blocco determinato dai sequestri disposti dalla magistratura. I sindacati contano di portare a Roma un migliaio di lavoratori. “Capiamo bene la preoccupazione dei lavoratori dell’Ilva perché la situazione è molto difficile – ha detto il sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti – La loro preoccupazione è anche la nostra. Stiamo lavorando col ministro Passera e Clini per un provvedimento che aiuti a sbloccare questa situazione e domani ne parleremo negli incontri che avremo con le parti sociali e le istituzioni locali”. Il sottosegretario ha annunciato che “venerdì nel Consiglio dei ministri ci sarà sicuramente la discussione dei provvedimenti da prendere e spero che già saremo in grado di avere il decreto su cui stiamo lavorando, un decreto che ha come obiettivo di sciogliere un nodo che si è aggrovigliato che richiede uno sblocco”.

Sotto il profilo giuridico “non stiamo seguendo la strada di sollevare un conflitto di attribuzione” con la magistratura presso la Corte Costituzionale, ha assicurato Clini. “Noi – continua – non abbiamo seguito questa strada, stiamo semplicemente richiamando l’esercizio delle competenze attribuite dalle leggi, che devono essere rispettate da tutti”.

Il provvedimento al quale si sta lavorando “dovrebbe consentire all’Ilva di mettere in pratica le indicazioni dell’Autorizzazione integrata ambientale superando il blocco che si è venuto a creare dopo il sequestro degli impianti dell’area a freddo di due giorni fa” insiste Clini (che ha parlato a Radio 1, ma anche a Unomattina, dopo una nuova maratona tra numerose tv e radio. “Le misure indicate dall’Aia consentono di assicurare continuità produttiva e di diminuire in maniera drastica i rischi per la salute e per l’ambiente”. Secondo Clini, ”la strada maestra è rendere possibile interventi che l’Ilva deve effettuare per rispettare le prescrizioni dell’Aia del 26 ottobre scorso. Che fanno riferimento alle migliori tecnologie oggi disponibili, indicate dall’Ue. Tali tecnologie dovrebbero essere impiegate a partire dal 2016 ma nell’Aia si dice che devono partire subito, anticipando di 4 anni il termine, al fine di garantire la protezione dell’ambiente e della salute”.

Ieri il ministro sembrava avere avuto parole poco tenere nei confronti dei magistrati le cui inchieste hanno portato all’ennesimo punto di svolta nei giorni scorsi: “Non ho mai attaccato i magistrati – aggiusta il tiro Clini – e dal marzo 2012 quando ho riaperto la procedura per l’Aia ho sempre richiamato il rispetto della legge che prevede che sia il ministro dell’Ambiente a stabilire le modalità con le quali un impianto industriale debba essere esercito in modo tale da salvaguardare la salute e l’ambiente”. “In maniera molto trasparente e pubblica – prosegue – anche alla presenza del procuratore capo di Taranto, recentemente ho sottolineato che non c’è bisogno di supplenza da parte della magistratura quando le amministrazioni fanno il loro dovere”. Il ministro Clini ha poi sottolineato che, al contrario di quanto riportato da un quotidiano oggi, quando era direttore generale del ministero dell’Ambiente non ha firmato la precedente Aia. “L’autorizzazione integrata ambientale precedente fu rilasciata il 4 agosto 2011 dall’allora ministro Stefania Prestigiacomo e fu preparata dal direttore generale competente che non ero io. Queste affermazioni sono false, così come quella fatta circolare appena si aprì la vertenza quest’estate secondo la quale un dirigente dell’Ilva avrebbe detto al telefono che io ero un uomo dell’Ilva. Sono provocazioni disperate che cercano di impedirmi di lavorare, ma se lo possono scordare”.

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