Una chiavetta Usb vuota, un telefonino che si aggancia a una cella di Segrate, il mistero di un settimo uomo. A tre giorni dagli arresti dei sequestratori di Giuseppe Spinelli, il ragionier di Silvio Berlusconi, gli investigatori della Squadra Mobile e della Polizia Giudiziaria stanno aggiungendo, come scrivono alcuni quotidiani, tassello dopo tassello elementi nuovi al mosaico di una storia ancora tutta da chiarire.

La banda di rapitori, tre italiani e tre albanesi che ieri hanno cominciato a rispondere alle prime domande chi del gip chi dei pm, nella confusa notte tra il 15 e il 16 ottobre non erano riusciti a mostrare gli ormai famigerati documenti sul Lodo Mondadori, che avrebbero ribaltato a loro dire la sentenza che ha condannato Berlusconi a pagare 560 milioni di euro alla Cir di De Benedetti. Perché in quel supporto informatico probabilmente non c’era nulla da vedere o leggere. E anche sul foglio mostrato all’ufficiale pagatore delle Olgettine (che partecipavano alle cene eleganti di Arcore), c’era uno schema privo di senso; se è vero che c’era scritto il nome del procuratore aggiunto Pietro Forno, titolare dell’accusa nel processo Ruby bis, ma non del processo sulla “guerra di Segrate”. 

A questo punto una delle domande cui dovrà rispondere l’inchiesta è perché questi signori, per lo più pregiudicati, avevano addirittura chiesto 35 milioni di euro al Cavaliere non avendo in mano nulla e perché dopo dodici ore di prigionia il ragioniere è comunque stato lasciato libero. L’ipotesi del pagamento di un riscatto per il momento non è stata confermata: tutte le cassette di sicurezza trovate e perquisite sono state trovate vuote e anche nelle case degli indagati non è stato trovata una sola banconota vera. E poi perché il cellulare di Francesco Leone, considerato il leader della banda, ha agganciato dalle 22.11 alle 23.18 (quando i rapitori erano già entrati in casa del contabile) una cella telefonica di Segrate dove, come ha fatto scoprire il caso Ruby, ha l’ufficio Spinelli? In zona ci sono anche uffici Mediaset. 

A fine sequestro senza aver avuto la possibilità di vedere nulla di quanto millantato dai sequestrato il ragionier avrebbe insistito, almeno stando anche al racconto dell’avvocato Niccolò Ghedini, di versare una tranche di cinque milioni di euro ai malviventi. Spinelli il giorno dopo gli arresti ha negato sia stato pagato alcun riscatto e ha giustificato il ritardo della denuncia per paura di ritorsione da parte di quegli uomini che, all’apparenza in cambio di niente, lo hanno lasciato libero e secondo il racconto della moglie Anna sono stati gentili. Solo con la scoperta di ulteriori elementi si capirà se lo strano caso del signor Spinelli deve essere considerato l’epilogo di una truffa finita male, come ipotizzato dagli investigatori poche ore dopo i fatti, o il secondo tempo di una trattativa. 

Dalla richiesta di custodia cautelare firmata dai pm emerge che anche una donna albanese, Rodica Mariana Lobonti, potrebbe aver partecipato ad alcuni fasi del sequestro. La donna sarebbe stata presente, assieme a Ilirjan Tanko e Marjus Anuta, due degli albanesi arrestati, anche ad un incontro il 13 novembre con Francesco Leone, il presunto capo della banda. 

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