“Ladri, ladri: è questa la nostra democrazia?”. Hanno lanciato così la loro battaglia i proprietari degli stabilimenti balneari della Romagna, e non solo, arrivati in 1500 in viale Aldo Moro a Bologna sotto la sede della Regione con ombrelloni, salvagenti, ma anche bandiere e striscioni. Urla risolute, lancio di uova contro la polizia e i palazzi di governo, blocco del traffico e persino il rogo di un tricolore, a cui ha fatto seguito un tentativo di forzare il cordone di carabinieri, per entrare dentro al palazzo dove si stava svolgendo una seduta dell’assemblea legislativa, poi bloccato dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa.

Il tutto per chiedere allo Stato e all’Europa un passo indietro sulla direttiva Bolkestein. O almeno, una tregua. “Perché se non si interviene, 30.000 aziende, circa 300.000 persone rischiano il posto di lavoro”. Sono infuriati i balneatori italiani, giunti in presidio davanti ai palazzi della Regione Emilia Romagna per mostrare “il vero volto di chi opera sui litorali della penisola”: pochi grandi stabilimenti, a fronte di migliaia di aziende a conduzione famigliare. Che per trasformare le concessioni in attività produttive hanno investito tutto. Risparmi, lavoro, la casa. “Siamo qui oggi perché l’Italia deve sapere che non siamo ricchi imprenditori con yacht e auto di lusso – spiega Enzo Monachesi, presidente del Sib Marche, che 15 anni fa ha lasciato il lavoro in una grande azienda estera per tornare in Italia e aprire uno stabilimento sulla spiaggia – siamo famiglie, bagnini, fornitori, siamo quasi un milione di persone che rischiano di perdere tutto”.

Le Regioni, continua Nevio Salimbeni, responsabile Cna Balneatori della provincia di Ravenna, possono essere “interlocutori fondamentali per la difesa delle imprese balneari e aiutarci a respingere il decreto del Governo che manda le concessioni all’asta e apre una stagione di ricorsi, espropri forzati e confusione sulla spiaggia”. Alla Regione Emilia-Romagna, quindi, i circa 1500 operatori, che in delegazione hanno incontrato il parlamentino locale, hanno chiesto di appoggiare la posizione dei sindacati: “non aprite procedure di evidenza pubblica previste dalla direttiva Bolkestein e trovate, come in Spagna – che ha approvato una proroga di 75 anni per ragioni di tutela ambientale e per la salvaguardia del patrimonio immobiliare e imprenditoriale, evitando così l’asta prevista dalla direttiva Ue – una soluzione condivisa che tuteli realmente l’offerta turistica romagnola, fondata su imprese piccole ma competitive e in grado di modularsi al meglio rispetto alle richieste che vengono dalla domanda”.

Perché il problema, secondo i sindacati organizzatori del presidio, Sib, Confcommercio, Cna, Confindustria e Confesercenti, è che se l’Italia non dovesse ottenere dall’Unione Europea una deroga alla direttiva Bolkestein le concessioni, in precedenza rinnovate tacitamente, verrebbero assegnate tramite un’asta pubblica. A partire dal 1 gennaio 2016. “Un sistema che però escluderebbe tutte quelle microimprese che, ad oggi, rappresentano la maggioranza degli operatori del settore – continua Monachesi – e favorirebbe due realtà: le multinazionali e le organizzazioni criminali, che tenterebbero di appropriarsi delle concessioni per riciclare denaro”. Le grandi imprese, con una disponibilità economica superiore rispetto alle attività che attualmente operano sulle spiagge, sarebbero infatti avvantaggiate nell’acquisizione delle concessioni, ma anche le organizzazioni malavitose, temono i balneatori, potrebbero impossessarsi di ampi spazi.

“Inoltre – continuano i sindacati – se si dovesse effettivamente arrivare all’asta pubblica, si creerebbe un tale contenzioso, dato dai ricorsi degli attuali operatori, che bloccherebbe il sistema legale nazionale fino a sfociare in una vera e propria crisi”.

La richiesta che sindacati e balneatori hanno portato a Bologna, ma che nei prossimi giorni verrà presentata anche a Roma, Genova, Napoli, Firenze, Bari e Cagliari, è quindi una sola: Bolkestop!. Che lo Stato chieda all’Unione Europea, insomma, una proroga almeno di 30 anni, così che chi ha investito nella concessione sia in grado di rientrare del denaro speso. “Quando abbiamo ipotecato la casa e speso i nostri risparmi per migliorare l’offerta turistica italiana, l’abbiamo fatto perché lo stato ci ha dato delle garanzie, ci è stato detto di stare tranquilli, che le concessioni sarebbero sempre state rinnovate tacitamente. Ora le cose sono cambiate – attaccano i balneatori – e da un giorno all’altro vogliono toglierci tutto”.

“L’asta pubblica ha già paralizzato l’indotto relativo al settore – spiega anche l’onorevole David Favia, dell’Italia dei Valori, che con Pdl e Pd ha presentato tre emendamenti alla bozza del cosiddetto ‘ddl Gnudi’ (iscritto nella ‘Cresci Italia’) di recepimento della direttiva, dei quali in queste ore in Senato si discute l’ammissibilità così che mercoledì vengano poi discussi in aula – ha bloccato tutto l’indotto che ruota attorno agli stabilimenti, fornitori e imprese che lavorano grazie al turismo balneare, altre 30.000 aziende in tutta Italia”. “Perché le concessioni sono la base della piramide – chiosa anche Sandro Mandini, vicepresidente dell’Assemblea Legislativa – e se la si toglie crolla tutto il sistema”.

“Bisogna intervenire subito – grida dal palco Marcello di Finizio, che a ottobre è persino salito sulla cupola di San Pietro, a Roma, per protestare contro la Bolkestein – prima che si finisca tutti sul lastrico. Abbiamo lavorato per migliorare l’offerta turistica italiana, ora chiediamo solo di rientrare dei nostri investimenti. Perché perdere lo stabilimento, per noi, significa perdere la casa”.

Nel corso della mattinata, l’Assemblea legislativa ha presentato una risoluzione, siglata trasversalmente dalla maggioranza dei partiti, per “invitare il governo ad attivarsi in sede Ue affinché le medesime eccezioni riconosciute alla Spagna siano accordate a tutti gli Stati membri, al fine di evitare disparità di trattamento”.

L’esito dell’incontro tra la delegazione e la Regione non ha però convinto né i balneatori, né i comitati. Se Sib, Confcommercio, CNA, Confindustria e Confesercenti si sono detti “soddisfatti al 60%” dell’impegno preso dall’assessore regionale al Turismo, Maurizio Melucci, di negare l’intesa sul decreto legislativo del governo, e delle dichiarazioni rilasciate dal presidente Vasco Errani, che a margine dell’intitolazione della sala polivalente dell’assemblea legislativa a Guido Fanti ha dichiarato: “Serve un chiarimento profondo in sede Ue, che ci sia omogeneità. Se ci sono deroghe ci devono essere per tutti”, chi sulle spiagge ci lavora si aspettava qualcosa di più.

“La giunta ha detto che non ci sarà intesa finché non si farà luce sulla questione spagnola – per capire se la legislazione approvata si possa applicare anche in Italia – e che il 22 novembre prossimo le regioni si riuniranno per trovare una posizione unitaria nella direzione degli emendamenti, ma non basta” gridano i bagnini, lanciando uova e petardi contro il palazzo dell’assemblea legislativa, per poi spostarsi in strada e bloccare il traffico. “Siamo insoddisfatti, ci aspettavamo una posizione ferma da parte delle istituzioni locali, così come é successo in altre regioni – critica Emiliano Favilla, presidente del comitato salvataggio, imprese e turismo italiano – perché dobbiamo attendere che l’Europa giudichi il caso spagnolo? Perché il nostro governo non va a Bruxelles per presentare una proposta italiana?”.

“La verità – commentano i manifestanti seduti in mezzo alla strada con i tamburi che suonano una dichiarazione di guerra – é che questo incontro dimostra che non é l’Ue, sono i governi nazionali a  non voler trovare una soluzione”.

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