Perché non viene a tenere qualche lezione sul giornalismo a scuola? Per caso, più che per volontà, mi sono ritrovato davanti a sessanta ragazzi per spiegare loro in cosa consiste il lavoro del “giornalista”.

La questione, apparentemente banale, di dover raccontare a qualcuno il proprio mestiere, mi ha gettato in una piccola crisi esistenziale legata alla più ampia crisi della professione giornalistica. I motivi del mio imbarazzo davanti a quei sessanta piccoli volti senza barba, e con gli occhi assonnati, erano due.

Il primo: non ero sicuro di aver davvero qualcosa da insegnargli; il secondo, ben più profondo: sentivo imbarazzo a parlare di un lavoro che sta attraversando una fase di veloce declino e vicino all’esaurimento storico della sua funzione. Era come spiegare l’importanza del lavoro di un arrotino di spade, di un telegrafista di sommergibile, o di chi scrive le lettere seduto con lo sgabello all’angolo della strada per chi è analfabeta. Certo tutte nobili professioni, ma legate inesorabilmente al secolo scorso.

Sono stato subito chiaro, dicendo loro che tra cinque o sei anni la professione di giornalista non esisterà più come la conosciamo, e sarà sostituita da altro, forse dal mediatore di contenuti e di commenti. Ingenuamente pensavo di spezzare i sogni di questi ragazzi, credevo di smantellare un mito, che i giovani studenti sentissero ancora il fascino della carta stampata. Immaginavo di vederli trasognati ripensare a “Tutti gli uomini del presidente” o al duro e puro cronista interpretato da Humphrey Bogart in “l’ultima minaccia”, quando al potente di turno, che lo ricatta per non pubblicare un articolo, fa sentire il rumore delle rotative pronunciando la celeberrima battuta “è la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!”.

Invece questi mi hanno guardato come qualche milione di anni fa i mammiferi osservavano un dinosauro, mentre il cielo era già illuminato dal bagliore delle comete che precipitavano verso la terra.

È stato in quel momento che mi è tornata alla mente un’immagine, che non ricordavo più, di quando avevo quattordici anni ed ero seduto dietro al banco del liceo A.Oriani di Ravenna. Un uomo che a me pareva un vecchio, ma che probabilmente avrà avuto poco più di quaranta anni, venne a parlarci. Era fortemente stempiato, con la barba di una settimana e una forte tosse da fumatore incallito. Era un giornalista, non ricordo di che testata, che era venuto a illustrarci la sua professione. Ricordo distintamente le sue parole: «fare il giornalista è un pessimo lavoro. Si guadagna poco, la sera si fanno orari bestiali e tutti ti rompono le scatole per quello che scrivi. Fate qualsiasi cosa della vostra vita, ma se vi volete bene, non pensate mai, per nemmeno un momento di fare i giornalisti».

Fortunatamente gli studenti hanno scarse capacità di attenzione.

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