Una truffa all’Inps in Calabria è un valido esempio di come le leggi sulla corruzione possono diventare efficaci solo in contesti etici senza zone grigie. E nei quali si hanno controlli rapidi sull’erogazione di denaro pubblico.

di Mario Centorrino* e Pietro David** (lavoce.info)

La saggistica e le cronache sul tema della corruzione analizzano e raccontano generalmente casi con pochi attori. (1) E si interessano più della notorietà di questi ultimi, per i ruoli istituzionali ricoperti o per la rete di influenza in cui risultano inseriti, che alle ricadute complessive di reati commessi in termini economici e di diseducazione alla legalità, al contrario di quanto avviene sul tema della criminalità organizzata: le stime del fatturato da corruzione, infatti, sono puramente convenzionali (il 3 per cento del Pil), quelle del fatturato mafioso più articolate e differenziate.
Vale dunque la pena accennare a modelli di quella che potremmo definire macro-corruzione: reati cioè di corruzione dai quali si propagano effetti di arricchimento non limitati ai soggetti che li commettono, ma che si trasformano in produttori di convenienza per un universo di altri soggetti. Una illegalità con carattere di sistema che rende difficile prevenzione, intervento e sanzione. E una illegalità (distorsione nel mercato del lavoro, ad esempio) che deborda in altre aree: in primis, quella di una corretta applicazione delle regole di democrazia (distorsioni sul mercato politico, ad esempio).

Un caso esemplare

Esaminiamo, allora, un recente episodio di macro-corruzione: la scoperta di 4.100 falsi braccianti in una cittadina calabrese (Rossano), un episodio che coinvolge politici, dipendenti dell’Inps, sindacalisti e commercianti. A Rossano e in altri paesi limitrofi, vengono costituite cooperative agricole ad hoc, con centinaia di lavoratori che, in realtà, svolgevano la loro attività solo sulla “carta”, presso terreni di committenti ignari o addirittura inesistenti. I lavoratori fittizi, al fine di godere dei diritti derivanti dallo status di stagionali, dipendenti cioè a tempo determinato, erano disposti ad anticipare all’organizzazione somme di denaro necessarie per il versamento dei contributi previdenziali. Le somme, versate per il tramite delle cooperative agricole, costituivano il presupposto necessario per far ottenere agli stagionali fittiziamente assunti il riconoscimento delle indennità di disoccupazione agricola, di malattia, di maternità e degli assegni familiari. Di contro, l’organizzazione criminale lucrava sulle indennità maturate dai falsi braccianti trattenendo per sé una quota delle somme erogate dall’Inps. Quattro domande: quale è lo specifico atto di corruzione che è alla base della truffa? Quale è il valore economico di quest’ultima? Come vengono provocati effetti distorsivi sul mercato del lavoro e nel “mercato politico”?
Il fatto di Rossano si regge sulla corruzione di funzionari dell’Inps locale (Istituto che peraltro con altri funzionari ha fornito dati e informazioni indispensabili per la scoperta dell’imbroglio) che accettavano le false certificazioni presentate da un patronato, da commercialisti e consulenti del lavoro. (2) Senza questa corruzione non ci sarebbero state le condizioni opportune tali da far percepire a 4.100 falsi braccianti (in realtà praticanti presso studi legali, dipendenti del patronato, casalinghe, studenti), inquadrati in ventotto cooperative agricole senza terre, 11 milioni di euro nel periodo 2006-2009.
Se qualcuno fosse andato a controllare chi in realtà svolgeva all’epoca lavori agricoli nel territorio sotto osservazione avrebbe trovato immigrati in condizioni di disagio sottopagati e senza permesso di soggiorno. Tra l’altro, i “falsi” braccianti dovevano garantire, con un sistema di condizionamento del consenso, sostegno e preferenze elettorali.

La “legittimazione” della corruzione

Quando la truffa è stata scoperta e i flussi di pagamento irregolari bloccati, si sono avute violente manifestazioni di protesta con blocchi stradali.
Sembrerebbe dunque che leggi sulla corruzione acquistano efficacia in contesti etici senza zone grigie e nei quali si attivano controlli rapidi sull’erogazione di denaro pubblico. (3) Ancor più quando il reato di corruzione è tale da poter innescare sistemi di illegalità di massa.
Se andiamo a rileggere la letteratura sulle interpretazioni teoriche del fenomeno alla luce del “modello Rossano”, la più convincente sembra quella della razionalità strategica di Andivig e Moene. (4) Quanto più grande è la frazione di corrotti tanto minore è la probabilità di essere scoperti da un collega disposto a sporgere denunzia o dalle vittime stesse (che nel caso raccontato rimangono indistinte). In sostanza, quanto più la corruzione è praticata, tanto minore l’imbarazzo per chi decide di intraprendere questa attività. Tanto più bassa la percezione di un rischio, dato il clima di connivenza, tanto più favorevoli le occasioni di socializzazione dell’illecito. Gli stessi costi morali possono indebolirsi in presenza di corruzione capillare. Esiste, spiegano i psicologi, un processo di auto giustificazione del tipo: “tutti lo fanno, perché non dovrei farlo anch’io”. Un avviso, dunque, ai naviganti.

(1) Una definizione ufficiale di “corruzione” possiamo trarla dalla Convenzione di diritto civile sulla corruzione del Consiglio d’Europa (Strasburgo 4.11.1999; European Treaty Services, n.174). Si parla di corruzione di fronte al “sollecitare, offrire, dare o accettare, direttamente o indirettamente, una somma di denaro o altro vantaggio indebito o la promessa di tale vantaggio indebito, che distorce il corretto adempimento di una funzione/compito o comportamento richiesto dal beneficiario dell’illecito pagamento, del vantaggio non dovuto o della promessa di tale vantaggio. In senso più ristretto si parla di corruzione di fronte a reati la cui connessione implica un danno anzitutto rivolto all’integrità del patrimonio della Pa, dei suoi beni e dei suoi mezzi aventi valore economico, a prescindere dalla circostanza che la commissione di questi reati determini costi sociali che si propagano ben al di là della sola dimensione economica. Si parla di corruzione anche in riferimento a una serie di altri reati (concussione, abuso d’ufficio, peculato, falso in atto pubblico, truffa ai danni dello Stato o alla Comunità europea, turbata libertà degli appalti). Per un approfondimento può essere utile la lettura del rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione della Pa, presentato il 22 ottobre 2012.
(2) Le truffe all’Inps sono una delle voci più consistenti degli sprechi di denaro pubblico. Secondo un recente rapporto della Guardia di finanza, ad esempio, tra gennaio e settembre di quest’anno sono state controllate 9.643 famiglie e sono stati scoperti ben 2.324 illeciti – uno su quattro cioè – con un esborso non dovuto che supera i 65 milioni di euro. Sono gli ormai famosi “falsi poveri”, liberi professionisti e imprenditori che riescono a nascondere i propri guadagni e così finiscono ai primi posti delle graduatorie comunali quando si tratta di ottenere agevolazioni per le mense scolastiche, per l’acquisto di libri, per l’iscrizione dei più piccoli negli asili nido, ma anche sgravi su medicine e assistenza domiciliare. Quanto incide la corruzione sulla mancanza di controlli necessari a “scoraggiare” questa illegalità di massa?
(3) Si veda, nel punto, Michele Polo, “Anatomia dello scambio corrotto”, lavoce.info 3 ottobre 2012.
(4) Andivig J.H.R., Moene K.O., “How corruption may corrupt”, in Journal of Economic Behaviour and Organisation, n. 13, 1990.

*E’ Ordinario di Politica Economica nell’Università di Messina. E’ stato Commissario Straordinario dell’IRCAC (Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione. E’ stato vice-presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Regionale sull’Economia Siciliana del Banco di Sicilia. Consulente esterno dal del Ministero dell’Interno sui rapporti tra economia e criminalità organizzata (1996-1997). Consulente presso la Presidenza nazionale della Confcommercio (1996-1997) su tematiche attinenti la criminalità economica. E’ stato consulente esterno della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della mafia (1997-1999). Consulente economico del Presidente della Regione Siciliana (1998-1999). Componente dell’ Osservatorio socio-economico della criminalità organizzata presso il C.N.E. L. (1999-2001). E’ stato Direttore del Centro per lo Studio e la Documentazione della Criminalità Mafiosa dell’Ateneo di Messina (1997-98) e componente del Comitato Scientifico del Centro Internazionale di Documentazione sulle Mafie e sul Movimento antimafia di Corleone.( 2000-2002).

**Pietro David è PhD in Economia ed Istituzioni presso l’Università degli Studi di Messina e docente a contratto in Politica Economia nella facoltà di Scienze Politiche. Svolge inoltre attività di consulenza con enti locali e società di servizi in qualità di esperto dei processi di sviluppo locale e programmazione territoriale. Tra i suoi lavori, Le infrastrutture aeroportuali, La domanda di trasporto aereo e le politiche regionali Aracne Editrice 2012, ed, insieme a Mario Centorrino, Le città della Fata Morgana. 5° Rapporto sull’economia della provincia di Messina(2009), Franco Angeli. 

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