Le epatiti croniche di origine infettiva, dovute cioè ai due diversi virus B e C (con il C che conta per i ¾ dei casi totali), sono molto diffuse in Italia. Si calcola che più del 2-3% della popolazione ne sia affetto. Almeno 300 mila italiani sono affetti da cirrosi epatica, che è la complicanza grave più frequente. Di questi ne muoiono ogni anno circa 10 mila.

Tali cifre nelle nuove generazioni stanno fortunatamente diminuendo. In modo più veloce per quanto riguarda la forma B per merito anche della vaccinazione, che non è disponibile invece per la forma da virus C.

Questi numeri così alti di prevalenza determinano ovviamente una quantità di malati che hanno necessità di assistenza. Ed infatti almeno il 5% della spesa ospedaliera totale è dedicata a questo specifico problema. Siamo intorno al miliardo. C’è poi anche da tener conto che il Sud presenta dei tassi di circolazione dei virus più alti rispetto al Nord. Quindi il problema epatiti virali e spesa sanitaria sono direttamente collegate. La terapia attualmente è praticata da non più dell’1,5-2% del totale stimato delle persone affette da epatite cronica o in alcuni casi, dai pazienti affetti dal gradino successivo della malattia, la temibile cirrosi, e che non è comunque una conseguenza necessaria, ma si verifica in una minoranza di casi. Pertanto se tutti gli esposti al rischio venissero sottoposti al trattamento i costi per la collettività credo che lieviterebbero fuori controllo. I farmaci sono efficaci, su questo non c’è il minimo dubbio, anche se non sempre.

La carica virale dei due virus può venire azzerata, il danno anatomico, se analizziamo il fegato al microscopio, può ritornare sano, soprattutto il paziente dopo la cura, se ha avuto successo, si sente meglio. Appare in ogni modo evidente che, indipendentemente dal livello di danno epatico, se un paziente è affetto da un’epatite di origine infettiva, conviene somministrare un trattamento di eradicazione del virus, soprattutto se il paziente è giovane, ha davanti una lunga vita da vivere ed ha anche probabilità maggiori di successo terapeutico, perché in grado di rispondere meglio da un punto di vista immunologico.

Ma con quali farmaci sono stati fino ad ora trattati i pazienti? Con Interferon sostanzialmente, in varie formulazioni, sia con il virus B, che con il C, in associazione con farmaci di diverso genere, per superare il rischio di sviluppo di resistenze da parte del virus. I dettagli degli schemi terapeutici non possono essere decritti in dettaglio in tale sede, per la brevità dello spazio. Ora viene proposta, per quei casi di epatite cronica C (che sono la grande maggioranza, ricordo) che non hanno risposto ai trattamenti sopra descritti, e che ammontano grosso modo al 30-40% del totale, l’aggiunta di altri farmaci, chiamati ”inibitori delle proteasi”.

“..Questi farmaci però sono estremamente costosi –come afferma Gasbarrini – circa 30-40 mila euro per un ciclo di trattamento e gli infetti sono tanti, soprattutto nelle regioni del Sud, che hanno maggiori problemi di bilancio. Inoltre sono farmaci potenti, nel bene e nel male, con effetti collaterali anche pesanti..”.

Pertanto agli operatori sanitari ed ai responsabili del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si presenta il compito di dover affrontare, in un momento di stretta economica complessiva a causa della crisi, per assicurare il costoso trattamento ai pazienti affetti da epatite cronica, un aumento notevole della spesa sanitaria. Ammesso però che i nuovi farmaci, comunque da somministrare sempre in associazione all’interferone ed alla ribavirina (proprio per superare, con una batteria di farmaci a diverso punto d’azione, come detto, il meccanismo darwiniano di sviluppo di resistenze) nella fattispecie, siano ammessi al pagamento da parte del SSN, bisognerà quindi che i medici tengano nella massima considerazione una serie molto importante di fattori: la diagnosi virologica, il genotipo (se 1,2,3 o 4) del virus che condiziona l’esito clinico del trattamento, l’età dei pazienti, la compresenza di altre infezioni o di condizioni patologiche di altro genere, la pesantezza degli effetti collaterali e/o tossici, ecc. Però io obietterei che potrebbe anche verificarsi, in relazione alle mutate condizioni economiche, un riesame della dispensazione totale dei farmaci per le epatiti croniche, malattie a torto o a ragione ritenute comunque a bassa intensità clinica, che adesso sono a pieno titolo gratuito. 

Infatti basta moltiplicare la spesa di ciascun ciclo di terapia, magari da ripetere, con i nuovi farmaci con il numero di pazienti che virtualmente ne hanno bisogno, per avere un numero molto grande. Solamente considerazioni di etica professionale dovrebbero secondo me prevalere nel determinare le scelte terapeutiche nei riguardi dei pazienti, da qualsiasi patologia siano interessati, però non penso che molti condividano il mio punto di vista.

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