Ci sono viaggi e viaggi. Quelli a cui siamo ormai abituati, o costretti, sono quelli low cost: verso le stesse destinazioni, con gli stessi aerei e con quello stesso dannato bagaglio a mano che pesa sempre troppo. E poi ci sono tragitti diversi, perché frutto della scelta ragionevolmente azzardata di andare “fuori rotta”: vagabondaggi con una meta ma senza un percorso predefinito per raggiungerla, storie in movimento in cui le parole sono scritte tra i chilometri e dietro ogni curva si nasconde un personaggio imprevisto. A quest’ultima categoria appartiene l’avventura raccontata nel libroUn altro viaggio nelle Marche” (Exòrma Edizioni), realizzato a quattro mani da Paolo Merlini, “l’esperto di vie traverse” che ha già attraversato mezza Italia utilizzando i mezzi pubblici, e Maurizio Silvestri, profondo conoscitore della cultura enogastronomica che collabora con Slow Food e con storiche riviste del settore. Otto giorni in cui due marchigiani riscoprono la loro regione attraverso le persone che la abitano e i sapori di questo territorio.

Differente. Un viaggio “altro” per molti motivi: «Innanzitutto perché ci siamo spostati solo con i mezzi pubblici – spiega Maurizio Silvestri – soprattutto corriere e treni regionali, che ormai quasi nessuno usa più. E poi perché abbiamo percorso il territorio in senso orario evitando tutti i centri più grandi e i capoluoghi di provincia. Abbiamo privilegiato l’entroterra appenninico, le zone meno conosciute ma che raccontato l’identità vera delle Marche e dei marchigiani, contadina e artigianale». Un viaggio accompagnato da alcuni splendidi scatti in bianco e nero del fotoreporter di fama mondiale Mario Dondero e fatto da una galleria di preziosi incontri. Non solo quelli conviviali, al tavolo di osterie e trattorie dove sono gli stessi gestori a sedersi accanto agli autori e a soffermarsi sulle loro vicende e su tutti i saporiti segreti di cui sono depositari, ma anche a bordo delle corriere: «Questi mezzi pubblici lenti sono delle sorte di “bar viaggianti”, con una dinamica simile a quella dei locali di paese o delle periferie delle grandi città». Proprio come quando un altro avventore ti si accosta al bancone per offrirti un bicchiere con cui innaffiare imprevedibili confessioni, così anche su bus e littorine le persone, autisti in primis, si raccontano e aprono una finestra insolita sulle loro vite che tutte insieme compongono quel puzzle chiamato Marche.

Storie e sapori. Difficile scegliere tra tutti i volti, le storie, i piatti. Si va da Sirinaldo Spoletini, “l’ultimo dei mugnai”, uno dei pochi rimasti in Italia a manovrare le pesanti macine di un mulino ad acqua, allo stocco all’anconitana assaporato in compagnia di Massimo Raffaelli, padre operaio e un presente da grande critico letterario, che racconta il suo rapporto col vino principe di queste terre, il Verdicchio. Dalle tagliatelle ai funghi di Emma al brodetto, il piatto che unisce un po’ tutta le Marche, magari nella versione minimalista della Maria, col pomodoro. E poi via attraverso i vincisgrassi di Iole, il “piatto della domenica” a base di sfoglia e ragù di carne mista, il Pecorino, non un formaggio ma un vitigno autoctono dei monti della Laga, legato a una piccola vigna ormai ultracentenaria, il tartufo di Acqualagna e formaggi intrisi del sapore ruvido di queste terre. Insomma, non resta che mettersi in viaggio sulle orme di questi viandanti del gusto (in fondo al libro ci sono tutte le indicazioni riguardanti il percorso e i mezzi con cui muoversi). O magari no, come suggerisce Silvestri: «La nostra è più un’”antiguida” perché quello che volevamo lasciare a chi legge è soprattutto una suggestione. Il tragitto fisico può anche cambiare, per scoprite altri aspetti dei posti che noi abbiamo visitato o per andare di nuovo fuori rotta e fermarsi in altre osterie o trattorie». Ci sarà sempre una storia da ascoltare e assaporare. Per poi raccontarla. (Foto di Mario Dondero).

di Paolo Scandale

www.puntarellarossa.it

Articolo Precedente

Mangiare in Sardegna, l’agriturista e il paradosso di Tiscali

next
Articolo Successivo

Le ricette del sabato di Alessia Vicari: da Parigi a Palermo, il gatò dei monsù

next