I medici ci raccontano che nei loro ambulatori si riversano le richieste più strane e più disparate, accanto naturalmente a necessità molto serie. Ci raccontano anche che il giorno dopo certe trasmissioni televisive sulla medicina, i loro malati accusano tutti i sintomi delle malattie trattate in quelle trasmissioni, chiedendo di esserne curati. Se a questo aggiungiamo la pressione esercitata sulle persone sane da un gigantesco fenomeno di medicalizzazione sociale che spinge attraverso i media milioni di persone a loro volta a farsi medicalizzare per niente e l’estendersi smisurato di quell’area definita di “automedicazione” cioè di gente che attraverso internet si cura da sola, abbiamo una idea di quanta domanda inutile e impropria viene rivolta alla medicina.

La ‘domanda impropria’ in un regime di scarsità di risorse ha implicazioni paradossali: diventa una forma di ‘eccesso di domanda’ che a sua volta diventa una forma di ‘inaccessibilità alle cure’ arrivando fino a ‘razionare l’offerta assistenziale’, a negare la cura di certe malattie perché costose e in genere ad escludere dalle possibilità terapeutiche i prodotti dell’innovazione scientifica.

Quando la domanda di cure è squalificata chi ci rimette davvero sono i malati più gravi. ‘L’eccesso di domanda’ in questo caso è quello peculiare di falsi bisogni che chiedono l’estensione della copertura a delle improprietà arrivando a danneggiare involontariamente quelli veri gravi. Per risolvere questo problema in passato si è tentato la strada dei ticket moderateur. L’idea era quella classica: mettere un prezzo sulla prestazione sanitaria per raggiungere la sua fornitura. Chi non può pagare questo prezzo esce dall’area della domanda con l’effetto di ridurre la domanda complessiva in quanto tale. Alla fine si colpiscono non solo bisogni impropri ma anche bisogni propri. Ma a noi serve qualificare l’accesso alle cure non semplicemente sbarrarlo.

In futuro non potremo avere un vero diritto alla salute per tutti senza qualificare la domanda di salute. Ma come fare? Selezionare tout court i bisogni è una operazione di grande delicatezza. L’idea che circola da anni, di non poter più ‘dare tutto a tutti’ ha dietro una logica selettiva e discriminatoria molto pericolosa. E i malati quelli gravi già ne pagano il prezzo perché rischiano in queste logiche di essere esclusi dalle cure. In realtà bisognerebbe dire che ‘tutto ciò che è proprio riconosciuto come tale va dato a tutti i bisogni propri riconosciuti come tali’. Cioè per dare tutto a tutti è necessario liberare la domanda dalle improprietà.

Ma chi decide ciò che è proprio e ciò che è improprio? Viene fuori la grande differenza tra coloro che non credono alla responsabilizzazione dei soggetti e che quindi propongono di amministrarli con i ticket, le tasse, la privatizzazione, la selezione dei bisogni in rapporto alle aspettative di vita e coloro che invece credono alla loro responsabilizzazione. Non si può escludere di mischiare le due scuole di pensiero, quindi un po’ di ticket moderateur con un vero processo di responsabilizzazione rivolto a medici e a malati. Escluderei i criteri suggeriti dall’Hasting center sulla selezione dei malati in rapporto alle loro reali aspettative di vita. Non curare chi ha poche possibilità di sopravvivenza non mi pare uno scherzo. Quindi resta il nodo della responsabilizzazione della domanda:

  • oltre al diritto alla salute deve essere definito un dovere alla salute ,quindi una deontologia sociale orientata a combattere attraverso un cittadino consapevole ogni tipo di domanda impropria per permettere a quella propria l’accesso alle cure

  • Il dovere alla salute implica la ridefinizione di quello slogan del ‘prendersi cura’ dai più largamente frainteso, il cui vero significato non è quello di un malato che è curato meglio e di più dai servizi sanitari, ma di un malato che cura se stesso attraverso i servizi sanitari. In questo caso il malato è un soggetto attivo che usa in modo consapevole la medicina come possibilità ma che con altrettanta consapevolezza non la spreca .

  • l’incontro tra doveri e diritti deve avvenire dentro una nuova relazione sociale tra medicina e società in cui l’autonomia consapevole del medico alla fine decide le proprietà e le improprietà ma dentro una corresponsabilizzazione del cittadino. Sappiamo bene di malati che cambiano il medico solo perché il medico non li asseconda nei loro bisogni impropri. Ma anche di malati i cui bisogni non sono assecondati perché il medico ha le mani legate.

In sostanza il nodo strategico riguarda l’accesso alle cure di cui abbiamo parlato nel post precedente nel quale le capacità del malato si alleano responsabilmente con le possibilità a lui offerte. Si tratta quindi di fare spazio all’innovazione superando la contrapposizione che oggi penalizza milioni di malati tra capacità e possibilità.

In ragione di queste convinzioni sono rimasto colpito da una notizia che è passata quasi sotto silenzio. La regione Lombardia ha deciso di informare ex post, cioè dopo i trattamenti sanitari, i propri malati sui costi delle cure loro fornite, con un intento evidente di responsabilizzazione. Il ministro Balduzzi probabilmente dubbioso ha interrogato il comitato nazionale di bioetica sulla opportunità di tale decisione, e il comitato nazionale di bioetica ha risposto che non è eticamente opportuno informare i cittadini perché conoscere i costi delle cure può essere un indebito condizionamento del diritto a curarsi.

Io penso che dobbiamo aprire il capitolo della domanda e della sua responsabilizzazione .

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