Fratelli coltelli, i militanti della destra in Italia. E non è solo una frase fatta. Nella lunga e travagliata storia del Movimento sociale italiano, infatti, non ci sono stati soltanto scontri con i “rossi” o con le forze dell’ordine. Se le davano di santa ragione anche tra loro, divisi come erano (e come sono) tra mille correnti. Di scontri duri, a volte anche fisici, ce ne furono davvero tanti.

All’inizio del 1965, ad esempio, Giorgio Almirante aveva bisogno di una mano per contrastare la gestione “molle” del segretario Arturo Michelini. Soccorso “nero” che trovò in Avanguardia Nazionale, i cui militanti trasformarono in una gigantesca rissa il congresso di Pescara. Ma mentre la base se le dava di santa ragione, i due leader si accordavano in segreto: a Michelini restava la segreteria, a Almirante andava il ruolo di capogruppo alla Camera.

Pochi anni dopo, invece, il casus belli fu l’atteggiamento da tenere nei confronti del Sessantotto. Il primo marzo di quell’anno, dopo la battaglia di Valle Giulia, i neofascisti di Delle Chiaie e gli universitari missini del Fuan occuparono la facoltà di Giurisprudenza. Il 17 marzo, alla Sapienza arrivarono i Volontari Nazionali guidati da Almirante che pretendevano la fine dell’occupazione dell’ateneo romano. Quando tentarono di liberare la rossa facoltà di Lettere, però, Delle Chiaie e i militanti del Fuan uscirono da Giurisprudenza e si schierarono sui gradini del rettorato, per protesta contro l’iniziativa dei loro compagni di partito.

E nemmeno Fini è nuovo a contestazioni e scontri interni. Nel 1977, giovane delfino di Almirante e segretario nazionale del Fronte della Gioventù, aveva deciso di commissariare la federazione provinciale di Foggia. Ma durante un incontro alla sede di via Garibaldi, nella città pugliese, i “camerati” fecero intendere al leader che non era il caso. Prima con le buone e poi, visto che Fini resisteva, con le cattive: “Se rimuovi il segretario non esci dalla federazione!”. E uno dei militanti gli mise addirittura le mani addosso. Risultato: niente commissariamento.

Un altro big della politica di oggi ha avuto brutte esperienze con i suoi stessi camerati. È Maurizio Gasparri, che una volta, durante un virile confronto ideologico, venne lanciato in una fontana dalla base più oltranzista, che mal tollerava i giovani dirigenti in doppiopetto. Altro scontro che ha fatto epoca è quello tra Francesco Storace e Giano Accame, nella redazione del Secolo d’Italia. Storace, all’epoca fedelissimo finiano, non apprezzava particolarmente la linea del direttore rautiano. Chi c’era parla di tensione alle stelle e di scontro quasi fisico.

Un momento cruciale della storia recente dell’Msi è datato 1990. Rimini, congresso del partito. Pino Rauti si è alleato con Domenico Mennitti, riuscendo a disarcionare Fini e a prendere le redini dell’Msi. Il clima era così surriscaldato che tra le due fazioni si arrivò alle mani. E qualcuno, racconta chi c’era, aveva deciso di usare le robuste sedie per “colpire” l’attenzione degli avversari interni. Ogni voto a Rauti era sottolineato da urla di giubilo. Ogni voto a Fini, invece, da composti e istituzionali applausi. Di notte, poi, si andava a dormire con la consegna di essere sempre pronti alla chiamata “alle armi”.

Dopo la svolta di Fiuggi e la vittoria finale di Fini su Rauti, erano spariti i modi “burberi”, ma non certo le divisioni interne. E basta pensare agli scontri durissimi, ormai diventati solo verbali, tra finiani e colonnelli dopo la scissione di Futuro e Libertà per comprendere che in sessant’anni non è cambiato nulla. Con la differenza che un tempo, forse anche per difendersi dall’accerchiamento dei partiti “costituzionali”, i panni sporchi si lavavano in casa. Oggi, a quanto pare, anche sul sagrato di una chiesa.

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