Sabato l’ipotesi del Messaggero. Domenica la “conferma” de Il Giornale: Antonio Ingroia è il candidato premier dell’asse Grillo-Di Pietro-Landini. Poco importa che il diretto interessato cada dalle nuvole (“Ah sì? non ne so nulla”) e che l’indiscrezione non trovi riscontri. Il pm sarebbe il cuore del patto tra i 5Stelle, la Fiom e l’ex magistrato di Mani pulite. Con la regia occulta del Fatto Quotidiano, house organ di riferimento. Insomma, tutto dettagliato e strutturato. Ma solo sulla carta. “A me non ha proposto niente nessuno. Anche io leggendo ho detto: mah”, dice il magistrato antimafia a margine di un convegno a Pavia, uno degli ultimi appuntamenti italiani prima della sua partenza per il Guatemala. Parole ribadite anche a una presentazione a Palermo

“Mere ricostruzioni giornalistiche”, fantasiose al punto da “non meritare nemmeno una smentita” che però sulle colonne di alcuni quotidiani diventano solide realtà. Il primo a darne notizia, sabato 3 novembre, è Il Messaggero: in un articolo ricco di condizionali si legge che l’idea “sarebbe” venuta a Gianroberto Casaleggio, il guru telematico del Movimento 5 Stelle, e “avrebbe” subito incontrato il favore di Beppe Grillo e Antonio Di Pietro. Per “esclusione oltre che per convinzione”, scrive il giornale romano, perché sul comico pesa una vecchia condanna per omicidio colposo (un incidente stradale), mentre il capo dell’Idv, oltre all’endorsment del leader a 5 stelle per il Quirinale, “è ritenuto ancora troppo identificato con il partito e le inchieste che lo riguardano”. Tanto basta per archiettare l’operazione del secolo che non coinvolge solo grillini e ala movimentista del partito: sono della partita la Fiom-Cgil di Maurizio Landini e Giorgio Airaudo, “portata in dote da Zipponi”, i non meglio precisati “spezzoni di sinistra radicale” e, ovviamente, i “movimenti” che, si sa, non mancano mai.

Passano 24 ore e Il Giornale apre con: “Un Pm a Palazzo Chigi. Le toghe al potere”, con tanto di editoriale a firma di Alessandro Sallusti. Secondo il direttore del quotidiano di via Negri, l’operazione in atto è un refrain, “ma a parti invertite”, del 1992. Quando “al grido di mani pulite” si provò a “consegnare il Paese alle sinistre”. Come? “Per via giudiziaria”, ovviamente. Questa volta invece – forse per sdebitarsi – sono le sinistre che vogliono regalare l’Italia alla magistratura, anzi, alla magistratocrazia (copyright Berlusconi): “Un colpo di mano” che se riuscisse trasformerebbe lo Stivale in “uno stato di polizia”.

Gli elementi a sostegno del complotto magistocratico sono tre: la già citata condanna a carico di Grillo, il fatto che un post di Ingroia sul blog del comico fosse stato molto apprezzato e infine le dichiarazioni del senatore Idv Luigi Li Gotti: “Lavoriamo a un’idea nuova di partito”. Dulcis in fundo, le parole dello stesso procuratore sono la prova del nove: “Se non dovessi appassionarmi di America Centrale tornerò in Italia, dove ci sarà sempre qualcosa da fare per me”. Cosa? Per esempio il presidente del Consiglio.

“Non stiamo esagerando”, assicura Sallusti, perché “basta aprire gli occhi sul presente”. E “tutti gli indizi” dicono che Grillo, assieme a “quel furbetto” di Di Pietro, “l’ala estrema” della Cgil puntino a fare il colpaccio: superare il 30 per cento di consensi e “insediare uno come Ingroia a Palazzo Chigi”. Ruolo che per Il Giornale potrebbe essere benissimo ricoperto anche da altri, come Roberto Saviano, “ma forse non piacerebbe al Fatto Quotidiano”, o Maurizio Landini (reo di essere intervenuto anche lui sul blog di Grillo), che però “non lo conosce quasi nessuno”. Quindi avanti tutta con il magistrato siciliano, “comunista” e “idolo dei manettari”. Uno che “semina distruzione” più che entrare in politica. Con lo stesso stile di Di Pietro e De Magistris.

Poco importa se il diretto interessato abbia liquidato tutto con una scrollata di spalle. A Fabrizio Cicchitto per esempio bastano i “fatti” riportati da Sallusti e co. per sentenziare che lui “è funzionale all’operazione Grillo-Idv”. Lo sa anche il Capo dello Stato: in via Negri sono infatti convinti che per sbarrare la strada alla toga, Giorgio Napolitano insista “per cambiare la legge elettorale”.

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