Stanotte, mentre fuori grandinava, mio figlio Giosuè, sette anni, si è avvicinato silenziosamente al mio letto e si è messo a guardarmi. Io ero in quella fase del riposo che non sai definire se è sonno, sogno o veglia. Ho fatto finta di non vedere Giosuè per qualche secondo, poi gli ho fatto cenno di sdraiarsi accanto a me. Lui non se lo è fatto ripetere due volte e subito si è buttato sotto le coperte. E ha appoggiato il suo palmo della mano destra sul mio palmo della mano destra. Così ci siamo definitivamente addormentati.

Quando la prima luce ha fatto irruzione nella stanza, mi sono svegliato e mi sono messo a scrivere al computer, cercando di non fare troppo rumore, per non svegliare Giosuè.

Qualche anno fa, un importante distributore italiano mi disse: quando grandina, è meglio stare in casa aspettando che passi, piuttosto che uscire. Ecco, io ho fatto mia quella frase e sono stato in casa per troppo tempo. Adesso ho deciso che anche se il tempo non accenna a migliorare, e anzi la grandine si è fatta più fitta, io voglio uscire e farmi male con quella grandine, che ferendo il mio corpo, lo faccia sentire vivo. Sì, bisogna sfidare la grandine. Che nel mio caso vuol dire lottare ancora, contro logiche perverse e perdenti, per far vedere alla gente un cinema non omologato, non allineato, non rassegnato.

E’ per questo che stasera al cinema Nuovo Sacher di Roma, con il film Il gemello di Vincenzo Marra, ricomincio l’avventura di Pablo, il marchio distributivo che mi ha accompagnato per sette anni e mezzo dal 1998 al 2006. Con Pablo inseguirò piccole e grandi occasioni di visione in sala e non solo in sala, come fossi al centro di una vera guerriglia, disordinata, appassionata, civile. Perché credo che sia giunto definitivamente il momento in cui, ognuno nel suo campo e secondo le proprie possibilità, cerchi di rendere questo paese, da cui io non sono voluto andare via quando ero giovane e da cui non posso andarmene adesso che sono troppo vecchio, appunto un paese civile.

Siamo tanti? Siamo pochi? Non lo so. So solo, sempre per restare nel mio campo, che un film come I giorni della vendemmia quest’anno è uscito dall’anonimato e ha incassato anche molte decine di migliaia di euro contando sul disordine e la passione di una autarchica distribuzione guerrigliera. So solo che Bellas Mariposas, il film di Salvatore Mereu, che tutti i distributori di Sistema hanno avuto l’occasione di vedere ma nessuno, da quello che aveva addirittura un contratto firmato a quelli che lo hanno visto dopo l’ottima accoglienza ricevuta alla Mostra di Venezia, hanno voluto, sta facendo esauriti su esauriti in Sardegna, polverizzando gli incassi degli altri film, viaggiando ad una media di oltre seimila euro a copia nel week end. Il tutto con una distribuzione ancora una volta autarchica. Mi direte: troppo facile in Sardegna per Salvatore Mereu. Vi rispondo: andate a vedervi e a studiarvi gli incassi di altri film sardi usciti in Sardegna e capirete che non basta essere sardi per incassare in Sardegna. E sulle ali di questi risultati e dei premi ottenuti Bellas Mariposas da gennaio volerà nel resto d’Italia e rimarrà in volo fino a quando un singolo spettatore vincerà la pigrizia e uscirà di casa per andare a vederlo. Perché la guerriglia ha bisogno soprattutto dell’impegno e della complicità degli spettatori, che anch’essi non si devono arrendere.

Giosuè intanto sorride, mentre dorme. Il sorriso cresce e diventa allegra risata. Poi si sveglia e come tutte le mattine vuole che gli prepari la colazione. Mentre beve di gusto il suo latte con la cioccolata, gli chiedo se si ricorda perché rideva mentre dormiva.

“Ridevo perché volavo, papà. Ma era un sogno”

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