Sull’onda del celebre motto “girl power” – reso famoso negli anni Novanta grazie alle performance “speziate” delle Spice Girls – dalla Svezia arriva “lesbian power” (lesbisk makt, in svedese), un progetto che intende dar voce ai pensieri e alle storie delle girls che amano altre girls.

Robin Spiegel – giovane svedese – è il cuore pulsante del progetto, nato in un momento di profonda crisi. Dopo un viaggio con la sua compagna – tra California, Australia e Nuova Zelanda – Robin ha affrontato domande con cui ognuno di noi, prima o poi, si trova a fare i conti: cosa fare nella propria vita? Come gestire la propria relazione di coppia? Sposarsi? Avere figli? In cerca delle risposte, Robin ha percepito la mancanza di un punto di riferimento, una sorta di “guru lesbico” con cui confrontarsi e scambiare punti di vista, problematiche, aspettative e speranze per il futuro.

Anche in Svezia – nonostante sia un Paese all’avanguardia sul fronte delle pari opportunità – è sempre il “modo di pensare maschile” a predominare, racconta Robin. Le donne sono presenti in Parlamento (45,3%) e nel mercato del lavoro in percentuali maggiori rispetto al resto d’Europa, ma il divario salariale (gender pay gap pari al 17,1%, dati Eurostat) tra lavoratrici e lavoratori svedesi è ancora una realtà. Il principio di eguaglianza quindi non sempre trova spazio nella vita quotidiana, neanche in questo eldorado nordico, dove ad imporsi non è solo una mentalità maschile, ma anche eterosessuale.

In Svezia persone dello stesso sesso possono sposarsi e adottare figli – un passo in avanti rispetto a molti altri paesi – ma quello che è consentito dalla legge non sempre viene accettato nella vita di tutti i giorni. “Discriminare le persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) è illegale sul posto di lavoro – ricorda Robin – ma fare coming out non è ancora una libertà priva di conseguenze, soprattutto in famiglia e nelle scuole”. Nelle settimane scorse non sono mancati i commenti discriminatori di un rappresentante del partito di destra (Sverigedemokraterna) – al governo dal 2010 – nei confronti degli omosessuali all’interno del partito. Un gesto che ha mobilitato la Federazione svedese per i diritti delle persone lesbiche, gay, bisex e transgender, fondata nel 1950.

Neanche la Svezia, insomma, esente da quel sistema socio-politico che Judith Butler ha definito più volte come “eteronormativo”, ossia un sistema in cui è l’eterosessualità la norma che regola le relazioni e i rapporti inter-personali. I limiti di un sistema di questo tipo sappiamo bene quali sono. Basta aprire un giornale o un social network per capire come la libertà di esprimere la propria sessualità sia un lusso, soprattutto laddove diritti fondamentali come il riconoscimento delle unioni di fatto, l’adozione, l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita, la libertà d’espressione mancano.

L’Unione europea sta cercando di tutelare al meglio i diritti delle persone lgbt, come testimonia la direttiva adottata il 12 settembre scorso dal Parlamento europeo per garantire uguali diritti alle vittime di reati, comprese le discriminazioni sessuali. Ma la mano europea – a differenza della mano invisibile di Adams – ha bisogno di quella volontà collettiva che può nascere solo dalla società civile. Il progetto di Robin ne è un esempio lampante. In vista delle prossime elezioni svedesi – che si terranno nel 2014 – Robin sta organizzando conferenze e workshop in tutto il paese all’insegna del “lesbian power”, come racconta nel video realizzato insieme a Lina Lea Zimmerman. L’obiettivo è offrire un “punto di vista lesbico” creando un network tra le varie comunità lgbt svedesi. 

“I diritti delle persone lgbt non possono rimanere sulla carta, serve un nuovo modo di pensare che sia veramente aperto ed uguale per tutti, anche per chi non è eterosessuale”. Robin sta cercando di farlo partendo dalla Svezia, puntando sul dialogo e sul confronto, affinché l’eterosseualità non sia più la norma.

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