La decisione di Silvio Berlusconi di non candidarsi alle elezioni occupa oggi le prime pagine di tutti i quotidiani. Alcuni editorialisti esultano, e tutti i giornali vicini al centrosinistra esprimono moderata soddisfazione. Il Giornale invece apre con un minaccioso “Arrivederci”.

Chi ha ragione? Purtroppo la versione offerta dal quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi è più realistica. Anzitutto, l’ex premier ha annunciato che non si candiderà alle elezioni. Non il suo ritiro dalla politica. E poi, il suo impero mediatico è sostanzialmente intatto, e gli consentirà di continuare a indirizzare la vita pubblica nel modo più coerente coi suo interessi personali.

Nonostante la diffusione di Internet, la televisione rimane infatti il principale mezzo usato dagli italiani per formare le proprie opinioni politiche. In un mio recente studio empirico, mi sono chiesto se, senza il suo impero mediatico, l’ex premier avrebbe potuto dominare la scena politica italiana per un ventennio.

La domanda sembra retorica, ma una analisi rigorosa del ruolo della Tv nella vita politica italiana non era mai stata compiuta nelle scienze sociali. La ricerca, finanziata da Euricse, è basata su dati raccolti nel marzo 2011 (quando la caduta del governo Berlusconi sembrava ancora un miraggio) mediante la somministrazione di un questionario volto a valutare opinioni e stile di vita di un campione rappresentativo della popolazione.

Il saggio, dal titolo “Who trusts Berlusconi? An econometric analysis of the role of television in the political arena”, è stato pubblicato nel marzo scorso su Kyklos (rivista scientifica internazionale di scienze sociali) e può essere scaricato gratuitamente qui.

Secondo le mie stime, i cittadini che si fidano della Tv hanno il 16,4 per cento di probabilità in più di fidarsi di Berlusconi. Nell’ambito di una competizione elettorale, quando la pressione mediatica dell’impero berlusconiano sugli elettori raggiunge puntualmente il suo apice, tale percentuale può facilmente trasformarsi nello spostamento di milioni di voti. Soprattutto quelli degli indecisi, che stabiliscono se e per chi votare sulla base di valutazioni emotive ed estemporanee, indotte per lo più dalla televisione.

L’educazione è un altro fattore importante: l’aumento di un grado nel livello di istruzione degli intervistati corrisponde a una probabilità di fidarsi di Berlusconi mediamente più bassa di circa 3 punti percentuali. Nel caso dei laureati, la percentuale scende del 17 per cento (16 per la laurea triennale). Liberi professionisti e agricoltori sono le categorie professionali con una maggiore probabilità di fidarsi dell’ex premier. L’analisi è  molto “robusta”, poiché tiene conto in modo affidabile del rischio di scambiare impropriamente delle correlazioni spurie per nessi causali.

Insomma, è ancora controllando la televisione che si esercita il potere, e l’ex premier lo sa benissimo. È per questo che, secondo le indiscrezioni, prima di dimettersi Berlusconi ha ancora una volta chiesto (e ottenuto), stavolta dal governo Monti, piena garanzia sulla tutela del suo impero televisivo. Per lo stesso motivo, non è sorprendente che i governi di centrodestra non abbiano mai fatto nulla per migliorare la diffusione di Internet e ridurre il digital divide.

Ciò che sorprende invece è che il centrosinistra, anche durante le sue esperienze di governo, non abbia mai avanzato proposte credibili per risolvere il conflitto di interessi. Quest’ultimo sembra diventato perfino un tabù, visto che è completamente assente dai discorsi programmatici dei candidati alle primarie.

In questo momento Berlusconi non è in grado di vincere le elezioni. Perché gli scandali di cui si è reso protagonista hanno raggiunto livelli di squallore indigeribili anche per gli stomaci più forti, e perché la crisi morde la carne viva dei cittadini, che sono diventati un po’ meno abbindolabili con promesse prive di senso. Tuttavia, finché conserverà il suo impero mediatico, l’ex premier sarà in grado di influenzare a suo favore ogni competizione elettorale.

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