Quando parla dell’Italia preferisce soffermarsi sugli aspetti positivi, piuttosto che sui punti deboli. Eppure Gaia Schiavon, oncologa romana di 32 anni, da cinque all’estero, ama la sua vita londinese e il suo lavoro. “Quello che mi spinge a rimanere Inghilterra è vedere che la mia crescita continua ad essere esponenziale. Ricevo stimoli sempre nuovi in un settore, quello del cancro al seno, che mi ha attratto fin da subito. Qui so di poter puntare all’eccellenza”. Si è laureata al Campus Bio-Medico di Roma e prima di stabilirsi a Londra, ha lavorato negli Stati Uniti e in Olanda. Ognuna di queste esperienze le ha insegnato qualcosa.

“Sono partita per New York con l’idea di starci un anno, ma ci sono rimasta molto di più anche perché ero riuscita a lavorare in laboratorio in uno dei più famosi ospedali oncologici del mondo dove ogni giorno c’erano seminari anche con premi Nobel che io riuscivo ad approcciare in maniera diretta e informale, solo dandogli del tu, senza preoccuparmi della gerarchia. L’esperienza è stata estremamente stimolante sia per quello che studiavo sia da un punto di vista umano”. Due anni in America sono sufficienti a farle venire voglia di tornare, se non in Italia, almeno in Europa. “Volevo avvicinarmi all’Italia, la cultura europea mi mancava e poi volevo portare a casa quello che avevo imparato”. Si trasferisce a Rotterdam con un’idea sempre più chiara di quello che sarà il suo lavoro. Capisce che il suo sogno è diventare quello che all’estero si dice clinician scientist, uno scienziato clinico, impegnato su entrambi i fronti della medicina, quello della ricerca e quello clinico, dei pazienti. “Da una parte volevo continuare il mio dottorato di ricerca perché sentivo che tutto si muove molto velocemente e mi piaceva la possibilità di essere impegnata “in prima linea”, sempre informata sulle ultime scoperte. Ma non volevo perdere il contatto con i pazienti per poter sempre applicare ciò che studiavo ed essere ispirata dalle reali necessità cliniche”. Per riuscire a farlo Gaia si trasferisce a Londra, al Royal Marsden Hospital, nel dipartimento dedicato al cancro mammario.

“Erano anni che cercavo di entrarci e alla fine ce l’ho fatta. Come in America anche qui è molto difficile fare carriera, sia per via della selezione strettissima, sia per via della concorrenza. Ma sento che cresco ogni giorno e sempre più rapidamente. Si dice che ci vogliono sei mesi per adattarsi ad un posto, ma dalla mia esperienza ho imparato che più realtà conosci e più la curva di apprendimento si riduce, così ci vuole molto meno tempo per ambientarsi, ma anche per riuscire a dare il meglio”. Eppure, per Gaia, l’Italia continua ad essere una meta possibile, anche in un futuro non proprio prossimo. “Non ho mai tagliato i fili con la mia università né intendo farlo. Lo considero un arricchimento sia per il presente, perché mi permette un confronto continuo con il mio gruppo di lavoro, sia per il futuro, in vista di un rientro. Confesso che io, come tanti italiani qui a Londra, guardiamo i siti dei concorsi pubblici nel nostro paese almeno una volta a settimana per vedere le opportunità che ci sono. Vorrei capire se in Italia riuscirei a fare quello che sto facendo qui”. Sarà perché, come lei stessa ammette, a Londra l’inverno è arrivato da un po’ mentre in Italia il sole e il caldo sono ancora compagni quotidiani, ma le ultime parole che ci riserva sono ancora un elogio al suo paese e alla sua gente. “So che in Italia ci sono strutture ottime e ci sono anche delle persone valide, illuminate, delle ottime menti. Tutti quelli che ho incontrato all’estero e che provengono dall’Italia sono apprezzati tantissimo, per l’intraprendenza e per la passione che mettono nel proprio lavoro”.

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