“4G? Per noi è cosa vecchia, abbiamo iniziato a lavorarci 10 anni fa. Noi ora guardiamo al 5G“: sono state queste le parole del professor Rahim Tafazolli, direttore del Centre for Communication systems research. L’università di Surrey nel Regno Unito sarà la patria del nuovo “5G Innovation Centre”: guidato proprio da Tafozolli, il nuovo centro avrà a disposizione quasi 35 milioni di sterline per sviluppare la tecnologia del futuro. Per ora tutto il progetto non è altro che un “libro dei sogni” che promette di avere una velocità di trasferimento dati per ogni cella che raggiungerà i 10 Gbps (gigabit per secondo). Un bel sogno, una sfida per i ricercatori ma in qualche modo anche una scelta obbligata dovuta in modo particolare a causa dei costi e alle frequenze di banda disponibili. Infatti, soprattutto con l’avvento di smartphone e tablet, il traffico dati è in costante aumento.

Il progetto ha ricevuto un sostanzioso finanziamento di 11 milioni di sterline dal governo britannico all’interno del Higher education funding council for England oltre che la creazione di un fondo di 24 milioni di sterline da parte di un consorzio di operatori del settore che vanta tra gli altri partner come Samsung, Fujitsu, Aircom e Telefonica. “Essere un’università – ha commentato Tafazolli – ci impone di essere sempre un passo avanti rispetto al mercato. I confini tra la comunicazione mobile e internet si stanno ormai confondendo, al punto che la quinta generazione sarà proprio basata sull’uso di internet in mobilità. Sembra che ogni anno la quantità di traffico raddoppi. Sfortunatamente questo non succede anche alle frequenze: abbiamo bisogno di sfruttare al meglio la tecnologia nell’ambito di uno spettro radio limitato, capace di sostenere però questo enorme aumento di traffico”. Una necessità che non si esaurisce con gli aspetti di natura puramente tecnica, ma sfocia anche in costi sempre più elevati e in consumi di energia eccessivi. Una tecnologia che in termini concreti porterà sempre di più alla creazione di un business capace cioè di produrre costantemente in rete attraverso il contributo di numerosi centri anche molto distanti tra di loro.

Lo sviluppo della tecnologia di quinta generazione richiederà almeno una decina d’anni. Se per il Regno Unito e l’università di Surrey il 5G è il futuro, per l’Italia sembra quasi fantascienza. Nel nostro Paese infatti la situazione è ancora nettamente arretrata sotto l’aspetto delle connessioni ad internet. Alcuni territori non hanno ancora una connessione ad alta velocità via cavo, altri l’hanno ricevuta da poco e qualcuno ha addirittura ricevuto prima la rete 3G degli operatori telefonici. Sulle prospettive del 4G non ci sono ancora luoghi e tempi così certi, l’asta per le frequenze si è chiusa intorno ai 4 miliardi di euro, ben oltre le aspettative del Governo. Una tecnologia che raggiunge i 100 Mbps per cella e che permette, oltre ad una maggiore velocità, anche una diminuzione consistente della latenza e la possibilità di avere ottime prestazioni anche in upload e non solo in download.

I problemi per la nuova tecnologia (ormai già vecchia per i ricercatori inglesi) sono tanti, a partire dai limiti per l’inquinamento elettromagnetico più bassi rispetto alla media europea, così come le interferenze con il digitale terrestre che potranno essere arginate con un investimento ben preciso. A questo si uniscono anche i costi per l’installazione dei ripetitori al punto che Wind ha persino avanzato l’ipotesi di realizzare un’infrastruttura condivisa tra i vari operatori. I primi test sono comunque stati fatti sia in alcune città (come Ivrea, primo comune completamente coperto dal 4G), sia in test di carattere non-pubblico come quelli di Tre Italia condotti a Roma. Le prospettive ipotizzano una copertura del 40% del territorio italiano entro la fine del 2014 con le prime reti già disponibili entro la fine dell’anno o, sicuramente, all’inizio del 2013.

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