Fra Topolino apprendista stregone e Tafazzi. Solo nell’ottica del personaggio Disney e di quello inventato da Carlo Turati è possibile spiegare diverse delle mosse compiute dalle due fazioni in lotta nel PD per le primarie. Avevano cominciato i bersaniani, approvando troppo tardi delle nuove regole del gioco che, se lette tutte insieme, lasciano a molti il sospetto di essere state ideate più per cercare di limitare il potenziale di voto dei sostenitori di Matteo Renzi che per cercare di affinare un meccanismo che di certo andava oliato rispetto alle edizioni precedenti. Non sono però da meno i seguaci di Renzi, che con l’ultimo capolavoro del ricorso al garante della privacy contro il regolamento delle primarie approvato dal loro stesso partito, si collocano de facto dove molti bersanian-dalemiani già li accusano di essere: fuori dal partito.

Non occorre infatti essere scienziati della politica per capire che un ricorso – per di più presentato alla magistratura e non a un organo interno del PD, e tralasciamo qui per carità di patria che il garante della Privacy è incidentalmente Antonello Soro, un ex senatore del PD di osservazione democristiana – contro un regolamento approvato dal Collegio dei garanti delle primarie è l’azione politica più grave che si possa compiere. L’azione che mette in discussione l’idea stessa di sentirsi tutti parte di una stessa comunità politica, di riconoscersi agevolmente in quella comunità e di rispettarne in particolare i regolamenti interni, anche quando non convincono in pieno, vuoi per il tempismo sbagliato, vuoi per alcuni contenuti. In questo senso, non convincono le spiegazioni del Prof. Francesco Clementi su Qualcosa di Riformista proprio perché accusano, in modo paradossale, il Collegio dei garanti di aver approvato un regolamento delle primarie che sarebbe contro la filosofia stessa del Partito Democratico (e avrei potuto scrivere ‘di un partito democratico’). Ma chi ha l’autorità e l’autorevolezza di stabilire meglio del Collegio dei garanti delle primarie cosa realmente è il PD, cosa realmente sono queste primarie?

Vedo bene su cosa punta il dito il ricorso dei renziani: si accusa il Collegio dei garanti, formato da Luigi Berlinguer, Francesca Brezzi, Mario Pilade Chiti e Francesco Forgione, di non essere democratico e in favore di un pluralismo interno. E’ un accusa enorme e, tragicamente, è anche un’accusa che dice il giusto.

Chiunque ha avuto a che fare con un partito politico italiano (MoVimento 5 Stelle incluso) dall’interno sa che i discorsi sul pluralismo interno, sull’importanza del dibattito democratico, sono appunto solo discorsi, che van bene fin tanto che chi ha in mano il potere non è messo in discussione da chi gli si oppone. Quando invece spunta fuori un outsider totale che, a sorpresa, riesce a raccogliere intorno a sé un’onda crescente di favore, al punto da far temere ai vertici di poterli spazzare via, ecco che in ogni partito (intendiamoci: a cominciare da quelli che le primarie non le hanno nemmeno, perché non fanno neanche finta di essere democratici al loro interno) scattano tutta una serie di accorgimenti per controllare la situazione prima che imploda. E’ un ovvio meccanismo di difesa dei vertici, attuato dai vertici stessi. Non piace? Si fa buon viso a cattivo gioco, sperando di vincere ugualmente, o si esce dal partito e se ne fonda un altro, perché anche qualora il giudice esterno dia ragione al ricorso fatto, si è distrutta la propria comunità politica, in pieno stile Tafazzi.

Detto ciò, non sono affatto contento di come i quattro garanti del Pd han deciso “all’unanimità”, come dice pomposamente Bersani (e ti credo: sono in quattro, vuoi che approvassero a maggioranza?), di modificare, di fatto a campagna già in corso, il regolamento delle primarie. Il punto è che con certi strumenti di politologia non ci si può improvvisare. Non si può passare a campagna in corso da un meccanismo a primarie aperte, come era stato in precedenza per il PD e la coalizione di centrosinistra, a un meccanismo di primarie chiuse o semi-chiuse. Detto in termini semplici: se prima poteva votare chiunque senza pre-registrarsi in alcun albo, per introdurre regole diverse devi aspettare di non essere più sotto primarie. La gimcana introdotta dal PD per sfavorire la partecipazione al voto di chi non percepisce il PD come “cosa propria da mantenere” avrà soprattutto l’effetto di limitare la partecipazione dei cittadini prima alle primarie del PD e poi alle “secondarie”, al voto a quel partito per le elezioni politiche.

Infine, una previsione personale: la classe dirigente del PD riuscirà, col nuovo regolamento, a vincere le primarie al ballottaggio. Ma poi Bersani, Bindi e D’Alema si troveranno a raccogliere alle politiche dal 30% dei voti in giù, anziché in su, e se il Porcellum sarà sostituito da una legge elettorale paradossalmente più democratica, questo significherà per Bersani, Bindi & D’Alema trovarsi a governare ancora una volta con pochi voti di maggioranza e una coalizione molto, molto colorata.

Sempre che, nel frattempo, perduri lo stato di coma assoluto del Pdl e che il M5S persista nel rifiutare l’alleanza con l’Idv. Due condizioni che non è detto si realizzino contemporaneamente fino all’aprile 2013.

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