Recentemente un articolo sul Corriere della sera di due importanti economisti (Alesina e Giavazzi) ha fatto scalpore perché proponeva di far pagare le prestazioni sanitarie ai cittadini assicurando agli indigenti la gratuità delle cure.

Le loro tesi sono state confutate da molti che hanno risposto punto su punto. Va menzionato a questo proposito il bell’articolo di Fassari su “quotidiano sanità”. Ma mi chiedo che senso ha rispondere a degli economisti famosi certo ma che in fin dei conti tradiscono semplicemente una straordinaria ignoranza della realtà sanitaria.

Vi è una questione più di fondo che riguarda il loro ruolo, la loro funzione. Per me quell’articolo non ha danneggiato tanto la Sanità pubblica, perché alquanto logoro e improbabile, ma il prestigio degli economisti e la credibilità della loro disciplina. Non è da ora che ho delle perplessità nei confronti di certi economisti che scorazzano in lungo e in largo tra i mille problemi della Sanità. L’equivoco nasce, per quello che mi riguarda, dal considerare un qualsiasi trattamento sanitario come una qualsiasi attività economica e dal considerare la Sanità come un sistema produttivo in cui come in qualsiasi altro sistema produttivo vi sono dei fattori primari attraverso i quali si ottengono prodotti. Ma la Sanità non è così facilmente assimilabile agli altri settori economici. E i “prodotti” della Sanità in realtà non sono prodotti.

La forzatura degli economisti in questi anni è stata quella di imporci una teoria economica generale senza fare nessuno sforzo per comprenderne la vera complessità sanitaria . La medicina ovviamente non può essere considerata come qualcosa senza una economia, ci mancherebbe altro, ma meriterebbe una razionalità economica speciale. Per gli economisti i limiti, come in ogni settore economico, devono per forza limitare anche se limitare in sanità è molto pericoloso e nella maggior parte dei casi antieconomico. Se le risorse sono scarse per costoro bisogna decidere,come in qualsiasi altro settore, delle priorità, ma decidere le priorità sui malati è una questione molto delicata. E ancora, siccome i cittadini sono costretti perché non coperti dallo Stato a spendere di tasca propria per avere l’essenziale (out of pocket) per questi economisti bisogna fare le assicurazioni private e tornare alle mutue. Cioè organizzare meglio l’abbandono sociale e trarne un guadagno. Per questi economisti tutto quello che non rientra nel loro modo di ragionare è automaticamente irrazionale ma in medicina esistono altre razionalità degne di questo nome, come la clinica che per quanto si faccia non è economicamente riducibile così semplicemente.

Per questi economisti non ha senso l’espressione “scienza e coscienza” che per i medici e gli infermieri è invece fondamentale. Per loro gli operatori della sanità prima di essere operatori devono essere “sub-economisti” cioè conformi alla loro razionalità costringendoli a corsi, aggiornamenti, convinti che la razionalità economica sia una razionalità superiore (sic!). Per loro prima dell’equità viene l’efficienza e se è possibile l’equità va sacrificata per l’efficienza, per assicurare la parità di bilancio, per una allocazione ottimale delle risorse. Perché per loro l’equità è semplicemente una complicazione. Insomma per questi economisti vi è sempre e solo un problema di equilibrio di bilancio, di allocazione, di razionalizzazione, di compatibilizzazione. Cioè essi sembrano conoscere solo le logiche della mortificazione.

Per riassumere tutte queste amenità alcuni anni fa introdussi in sanità il termine economicismo che successivamente ebbe un grande impiego, proprio per indicare non tanto una disciplina scientifica ma una ideologia lineare e ossessiva sulla imposizione dei limiti la cui apoteosi è oggi rappresentata dalla spending review. La razionalità degli economisti che si occupano di sanità è lineare, meccanica, banale semplificatrice. Desidero ricordare quello che ha detto un premio nobel per l’economia Von Hayeck:”un economista che è solo un economista non è un economista”. E i lavori importanti di Krugman convinto che alla base di molti nostri problemi vi sia proprio una fraintesa economia. In sanità gli economisti che sono solo economisti non saranno mai dei riformatori, perché per quanto bravi non hanno conoscenze, sensibilità, culture e pur tuttavia sono proprio coloro che si tengono stretto il loro economicismo bocciando per irrealistiche tutte le soluzioni che essi non controllano direttamente. Quindi bloccando il cambiamento.

Quando ho letto di Shapley e Roth che hanno vinto il premio nobel per l’economia, mi si è allargato il cuore. Sembra che il loro lavoro punti a dare all’economia quello che Giorgio Meletti ha definito “il respiro umanistico ” fino a rifondare un altro genere di “scienzaeconomica” in cui mettere tra parentesi tutte le nozioni classiche dell’economia a partire dall’assunto che il denaro non è la misura di tutto. La loro teoria del matching market non consiste altro che nel trovare la “cosa giusta” e nel rimuovere i tanti “attriti” che esistono nella realtà degli uomini non degli oggetti.

In sanità trovare la “cosa giusta” dovrebbe essere un imperativo categorico sapendo che una cosa giusta è tale nei confronti dell’etica, della scienza e dell’economia. Io sogno per la sanità una economia delle cose giuste e senza attriti. I limiti economici per noi sono un problema ma quelli degli economisti lo sono ancora di più.

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