Ad Harlem, New York, c’è Sylvias, uno dei migliori ristoranti di soul food, la cucina tradizionale della comunità afro-americana, grazie alla quale gli schiavi rendevano buoni anche gli scarti e le materie prime più povere che lasciava loro il padrone.

Ma passeggiando per questo quartiere si vede soprattutto una gran quantità di templi del junk food. L’ alta incidenza di una grave obesità è visibile, la fila dei mendicanti è sempre davanti al MacDonald’s, sono grassi persino i manichini dei negozi di vestiti e nel fast food in cui sto mangiando ci sono quasi solo afroamericani.

Osservo la preparazione del mio wrap e mi spavento un po’ quando vedo che il messicano alla piastra versa due grandi cucchiai di olio di frittura delle patatine sulla salsiccia del mio vicino di bancone. Mi consolo pensando che in fondo questa sarà solo un’eccezione nel mio modo di mangiare.

Eppure intorno a me ci sono moltissimi obesi, che mangiano in posti come questi ogni giorno…

Secondo dati della Columbia University del 2010, ad Harlem c’è il tasso di obesità più alto di Manhattan. Il problema dell’obesità ad Harlem è però specchio di una epidemia che colpisce tutta Manhattan, New York City, e la nazione. E che finisce per avere delle connotazioni sociali e dunque razziali.

C’è infatti una chiara correlazione tra basso reddito e obesità. Quando si combinano povertà, malasanità, scuola e formazione inadeguata, condizioni di vita stressanti, mancanza di accesso a cibi freschi e a strutture per l’attività fisica, le percentuali di obesità schizzano alle stelle.

Uno studio della Columbia University ha dimostrato che la maggior parte delle scuole pubbliche di New York, si trovano entro cinque minuti di cammino da catene nazionali, fast food, pizzerie e negozi di alimentari che non vendono cibi freschi. La disponibilità di cibi sani nei quartieri poveri è di gran lunga inferiore: due negozi di cibo su tre ad Harlem sono semplici botteghe e non supermarket, negozi quindi che non offrono cibi freschi e di qualità e dove non si trova frutta e verdura. Ne consegue che mentre l’obesità ad Harlem raggiunge il 30%, nel benestante quartiere limitrofo, l’ Upper East Side, il tasso di obesità è del 9% mentre nella città in generale è del 22%.

Secondo il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie di New York la percentuale di obesità è del 51% più alta tra i neri che tra i bianchi e del 21% tra i latini rispetto ai bianchi, con un conseguente più alto tasso di malattie relazionate all’obesità e alla cattiva alimentazione.

Tra bambini e adolescenti di Harlem la percentuale di sovrappeso e obesità raggiunge addirittura il 48%. Tra gli anziani, i tassi di obesità di East e central Harlem rispetto a Manhattan sono decisamente più alti: parliamo di un 40% contro un 20%.

Nei supermarket radical chic di Soho invece, il cibo veloce è la quinoa, gli smoothies di frutta fresca, spinaci e tanta verdura pulita per preparare le insalate. Il cibo sano è di moda. Per la upper class bianca gli spinaci sono politicamente corretti ed il junk food da stigmatizzare e temere. Il latte intero è considerato un veleno, è scorretto, è “out”, mentre il latte di soya è corretto, è “in”.

Siamo sicuri che non vi sia un po’ di rigidità, un certo manicheismo, un vero e proprio stigma dietro tutto questo?

Magari è solo un mio pensiero, ma mi sembra che l’esigenza di una dieta sana non venga da una naturale ed interna richiesta da ascoltare – sarò cattiva ma quelli del supermercato di Soho me li immagino trangugiare di nascosto il peggior junk food al primo crollo nervoso – mi sembra che sia piuttosto un’ etichetta, un tag, una scusa per costruire l’ ennesima differenza sociale...

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