Contrordine compagni. Abbandonare Cuba non è più (o non lo sarà, dal prossimo 14 gennaio) un “tradimento” degli ideali rivoluzionari, una “diserzione” dagli obblighi del buon cittadino della patria socialista. Il regime cancella d’un colpo una delle norme che, per cinquant’anni, hanno provocato maggiori sofferenze, generando enorme frustrazione tra la popolazione dell’isola: quella che obbligava chi volesse andare all’estero a chiedere un permesso governativo. Che spesso, troppo spesso veniva negato. Il “no” era d’obbligo per chi fosse in odore di dissidenza e per chi avesse realizzato attività “controrivoluzionarie”. Ma, a completa discrezione delle autorità, poteva colpire chiunque. E comunque, oltre al permesso – chiamato dai cubani “carta blanca” – c’era un altro ostacolo, a volte insormontabile, alla libera circolazione delle persone. Impossibile partire di propria iniziativa: condizione indispensabile per poter lasciare l’isola era (o lo è stato, fino ad oggi) quella di ricevere un invito dall’estero, da parte di un parente, o di un amico. Chi conosca almeno un poco Cuba sa bene come intere generazioni di cittadini si sono dovute ingegnare per ottenere la tanto sospirata “carta de invitación”. Un sogno, che a volte restava tale. E, per chi ci riusciva, un passaporto verso la libertà.

D’ora in poi, per volere del presidente Raúl Castro – impegnato, da quando ha sostituito al potere, nel 2006, il fratello Fidel, in una lenta politica di riforme – sarà invece sufficiente disporre di un passaporto valido, oltre al visto d’ingresso per i paesi di destinazione che lo richiedano. Un’innovazione improntata al buon senso (come alcune di quelle varate negli ultimi anni, tipo la liberalizzazione nella vendita di case e di auto, o la progressiva apertura verso piccole attività di lavoro autonomo). Per il regime, che dal VI congresso del Partito comunista, lo scorso anno, ha scelto di flessibilizzare poco a poco le proprie posizioni in campo economico e sociale, si tratta di “aggiornare il modello socialista”.

Cosa avesse di socialista, e di rivoluzionario, negare ai propri cittadini il diritto a sognare una vita diversa – in libertà e nel paese che ognuno volesse scegliere autonomamente – resta un mistero che solo qualche slogan propagandistico potrà giustificare. E del resto, anche nel momento dell’apertura, gli slogan non mancano. L’Avana avverte che la nuova politica migratoria sarà soggetta a qualche limite, e rivendica il diritto a “difendersi dai piani sovversivi e dalle ingerenze” degli Stati Uniti e dei loro alleati. In che modo? Controllando l’uscita dal paese di medici, professionisti, funzionari, militari. Per una buona causa, è chiaro: “Preservare il capitale umano creato dalla Revolución, contro il furto di talenti che applicano i potenti”.

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