Il bluff di Formigoni è durato due giorni. Ma la Lega si è smarcata, dimostrandosi un movimento rinnovato, distante dai vecchi patti partitici, pronta a giocarsi poltrone e incarichi pur di non tradire parola e ideali. Oggi è così e dobbiamo essere onesti: Formigoni va a casa grazie alla Lega Lombarda. il Celeste ha usato tutti i peggiori metodi politici (che ben conosce) per stare a galla. Ha giocato con le parole, mentendo sull’accordo firmato a Roma giovedì da Maroni; ha fatto trapelare false indiscrezioni: aver avuto il sostegno di Berlusconi; ha tentato di spaccare la Lega (in parte riuscendoci) e ha scatenato i dichiaratori a comando, I soliti Gasparri e La Russa. Ma non è bastato. Questa volta no. Le macerie lo circondano. E’ indagato, ha amici in galera, assessori ed ex assessori dietro le sbarre, un sistema di potere ingessato da prebende e favoritismi che ha rallentato e sta facendo fallire anche la tanto decantata eccellenza lombarda. A partire dalla sanità.

Dopo 17 anni di egemonia incontrastata Formigoni deve andare a casa. Lo dice anche Alfano: “Basta agonia, indichi la data del voto”. la minaccia di far cadere anche Veneto e Piemonte, ha spiegato Alfano, non esiste e non è mai esistita. Formigoni è dunque rimasto solo, nel suo grattacielo mausoleo, intorno le macerie. E si sono svegliati tutti, adesso. da Penati, che rilascia interviste professandosi innocente, ad Albertini, che giustamente si propone come possibile candidato governatore per il dopo Celeste. Ma tutti, fino a due giorni fa, immobilmente e comodamente adagiati nell’impero formigoniano. Perché stavano tutti bene, col culo al caldo, diciamolo. E i partiti, Pdl in testa, oggi appaiono tutti avvoltoi: nascosti e spaventati nei giorni della lotta, baldanzosi e in prima linea al momento della ricostruzione. Ma il merito è solo della Lega. Almeno oggi, almeno adesso. E in primis di Matteo Salvini, uno che nel Carroccio di epoca bossiana è sempre stato parcheggiato lontano dai palazzi del potere per un semplice motivo: perché Bossi sapeva che Salvini era il migliore, lì dentro, ed è quello che gli somiglia di più. Un animale da popolo, un contadino della politica, un parlatore pancista. Salvini ha sempre accettato l’orticello che gli veniva assegnato lavorandolo con impegno. Oggi può raccogliere i risultati. Va riconosciuto anche a Roberto Maroni un merito: aver trasformato il partito personalisitco ed egemone di Bossi in un movimento che sceglie e decide collegialmente. Ascoltando gli uomini della segreteria federale, da Andrea Mascetti (cacciato da Bossi e accolto da Maroni) a Davide Caparini, dalla giovane e puntigliosa Simona Bordonali all’ex nemico Roberto Calderoli, fino a Umberto Bossi: per uscire dalla trappola in cui l’aveva trascinato Formigoni portandolo a Roma nella sede del Pdl giovedi, hanno convinto Maroni a cedere il testimone Lombardo a Salvini. E cosi è stato. Bobo si è sfilato e il segretario Lombardo ha potuto alzare la voce e dettare tempi e termini della resa formigoniana. 

Piaccia o no, oggi il fermo immagine da raccontare è questo. Al netto di simpatie e avvoltoi, di strategie e dichiarazioni politiche, il dato è uno: Formigoni va a casa perché la Lega ha deciso di non essere più complice. E in questi tempi di eletti ladri che contano i giorni che mancano per maturare il vitalizio (così da perpetuare un altro furto ai danni dello Stato) il minimo è riconoscere a Maroni, Salvini e a via Bellerio l’onore della verità. Prima che i soliti avvoltoi se ne prendano ingiustamente i meriti. Oggi. Domani si vedrà.

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