Un’osservazione che mi viene spesso rivolta ed emerge anche dai commenti dei post è: “certo, voi ambientalisti da salotto non pensate che c’è gente che non arriva alla fine del mese. Sì, l’ambiente, tsè, sono altre le cose che contano.”

A parte il fatto che, scherzandoci sopra, io non conosco ambientalisti che non siano da salotto. È un po’ un linguaggio formulare, come Giove tonante, l’ambientalista è per definizione da salotto. Staccato quindi dalla realtà.

Ma veniamo alla critica. E diciamo subito che ho ben presente che c’è gente che non arriva alla fine del mese, che le famiglie in stato di povertà o quasi povertà sono circa un terzo delle italiane (ed altrove è anche peggio). Anzi, so anche che in Italia ci sono 50.000 senza tetto. Ed una volta essere barbone era anche una scelta di vita. Oggi non più. Clochard si diventa senza sceglierlo. Del resto, lasciando a malincuore quel salotto in cui mi beo circondato da libri, vedo anche sempre più gente che rovista nei cassonetti della spazzatura e non sono solo zingari od extracomunitari. E questo mi stringe il cuore.

Del resto, è altresì vero che nelle classifiche più disparate l’ambiente oggi non emerge più tra le preoccupazioni della gente, ben distanziato da quelle preoccupazioni economiche che sono ai primi posti. E non è neppure un caso che invece l’ambiente fosse ai primi posti nell’epoca craxiana, in cui sembrava che l’Italia fosse il paese del bengodi. E le preoccupazioni sul posto di lavoro erano di là da venire.

Insomma, c’è una crasi tra lavoro ed ambiente. Quasi che di ambiente te ne puoi preoccupare se hai la pancia ben piena. Ma dirò di più, addirittura, ormai, nella mente atrofizzata delle persone, tanta è la preoccupazione economica, che si ha la convinzione che si può ben distruggere l’ambiente, purché vi sia occupazione, purché il degrado crei occupazione. E dunque, ben venga!

Ricordo quando ci fu l’alluvione del Tanaro che Beppe Grillo entrò a piedi giunti in una trasmissione in diretta Tv e disse che l’alluvione avrebbe fatto aumentare il Pil. Era l’altra faccia della medaglia, ma era vera anche questa. L’aria irrespirabile, la “chimica lebbra” (come la definiva il grande Bertoli), il dissesto idrogeologico creano posti di lavoro: almeno nella sanità, nell’edilizia. La Tav distrugge, ma crea occupazione. L’Ilva di Taranto inquina, ma tanti vi lavorano.

A ben vedere non c’è molta differenza tra il lavoratore che giustifica la distruzione dell’ambiente purché vi sia lavoro ed il padrone che distrugge per creare capitale. Sono due facce della stessa medaglia. Ambedue sbagliate.

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