«La gente spesso pensa che negli archivi si trovino solo documenti scritti: niente di più lontano dalla verità», poiché gli archivi sono pieni di immagini che aspettano di essere usate come fonti da chi si occupa di storia della cultura. Questo ci dice Ludmilla Jordanova in un breve video registrato nell’Archivio del Churchill College a Cambridge, attraverso il quale viene presentato il suo ultimo libro, The Look of the Past. Visual and Material Evidence in Historical Practice, appena pubblicato da Cambridge University Press.

Nel video, illustrando brevemente una foto che riprende Ronald Reagan e Margaret Thatcher, Jordanova spiega che una fonte visiva non è mai «in presa diretta con la realtà». La cosa è chiara quando siamo di fronte a un disegno, a una stampa o a un quadro, tutti prodotti della libera creatività di un artista; ma può apparire meno chiara quando si osserva una foto. Poiché la foto dà l’impressione di essere un’indiscutibile testimonianza di ciò che è effettivamente accaduto in un luogo e in un tempo dati. Ma nemmeno la foto è «in presa diretta con la realtà». E va interpretata, come qualunque altra fonte. Poiché è tanto importante ciò che un fotografo include nel suo spettro visivo, quanto ciò che taglia fuori; ed è altrettanto importante come una foto viene contestualizzata, attraverso i commenti che vi sono scritti sopra o dietro, attraverso le didascalie di chi la impiega in una mostra o in un libro, attraverso l’accostamento ad altre foto.

È una lezione semplice, ma da tenere sempre presente. Anche quando si visita una straordinaria mostra virtuale di foto e filmati del XX secolo, com’è quella che è stata appena lanciata dal Google Cultural Institute, con la collaborazione di 17 istituzioni di tutto il mondo (tra cui Yad Vashem, Imperial War Museums, Auschwitz-Birkenau State Museum). In genere le immagini sono molto belle, e presentate attraverso commenti misurati ed efficaci che illustrano episodi fondamentali nella storia del ‘900: la decolonizzazione, la lotta contro l’apartheid, la Shoah, il 1968 in Francia.

Tuttavia anche qui ci aspetta qualche trappola. È quel che accade, per esempio, nel capitolo Years of Dolce Vita, dedicato all’Italia degli anni Sessanta. Le immagini e i filmati (tutti molto interessanti) vengono dall’archivio dell’Istituto Luce Cinecittà; e il curatore è un serio studioso della storia della fotografia, Gabriele D’Autilia. Nondimeno, questo è tutto ciò che il capitolo ha da dire sulle vicende politiche italiane di quel periodo:

«Gli italiani sono in prevalenza cattolici e hanno scelto di essere governati da un partito a forte caratterizzazione religiosa, la Democrazia Cristiana; ma la società segue i suoi percorsi di laicizzazione imposti dalla modernizzazione e persino il Vaticano in questi anni è attento ai cambiamenti della mentalità»; e a fianco si vede prima una foto di papa Giovanni XXIII in visita a Regina Coeli con un detenuto che gli bacia la mano; e poi una panoramica del Concilio Vaticano II. E basta. Nient’altro. Scorrendo il resto delle foto e dei filmati un visitatore che non conosca le vicende di quegli anni rischia di farsi l’idea che l’Italia di quel periodo sia stata un’oasi di tranquillità politica, al massimo attraversata da qualche difficoltà economica, ma niente di troppo grave, niente che non potesse essere superato grazie alla tipica creatività italiana.

E allora qui torna utile la breve lezione di Ludmilla Jordanova: le immagini vanno usate; e le mostre virtuali vanno visitate; ma senza dimenticarsi di tenere le antenne della critica sempre in modalità on.

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