Ci è voluto un episodio particolarmente inquietante e clamoroso, l’intervento di alcuni poliziotti che trascinavano a terra con violenza  un bambino di undici anni, per sottoporre all’attenzione dell’opinione pubblica un fenomeno particolarmente grave, che può avere effetti estremamente negativi sulla qualità della democrazia e la sicurezza dei cittadini. Parlo della disumanizzazione dei poliziotti italiani.  

Ci troviamo di fronte a una gravissima malattia psicosociale che minaccia di dilagare nei commissariati e nelle stazioni dei carabinieri: una sorta di arroganza del potere ben esemplificata dall’inqualificabile reazione della poliziotta di fronte alle proteste della zia del bambino trascinato: “Io sono una funzionaria di polizia e lei non è nessuno”. Affermazione che, nella sua grottesca prepotenza, ricorda un po’ quella famosa del Marchese del Grillo immortatalata da Alberto Sordi. Ma quello era un film comico ambientato nella Roma papalina, questa una triste realtà dell’Italia di oggi.

Quali le cause? Certo non può trattarsi di un impazzimento autonomo delle forze dell’ordine. Il problema non è solo loro ma della società nel suo complesso. E chiama in causa il rapporto profondo tra cittadino e istituzioni, evidenziando le profonde responsabilità della classe politica. L’arroganza dei poliziotti implica un annullamento preventivo dei diritti e dell’identità dei cittadini, nonché il mancato rispetto degli stessi cittadini nel momento in cui questo governo decreta l’annientamento dei diritti stessi in una nutrita serie di settori.

Alle radici di tale malattia occorre quindi cogliere anche e soprattutto la pericolosissima tendenza di un governo manifestamente incapace di risolvere i problemi economici e sociali a scaricare sulle forze dell’ordine tali problemi. Parole chiare le ha pronunciate, a tale riguardo, il segretario del sindacato di polizia Silp Cgil Giardullo, il quale ha affermato che “”..le tensioni sociali non possono essere scaricate sulle forze dell’ordine..supplendo in tal modo “..ai limiti del Governo.

Sintomi della malattia stessa ne abbiamo avuti a bizzeffe in questi anni. Ed anche più gravi del pur gravissimo episodio considerato. Dai massacri di Genova alla Diaz e a Bolzaneto, alle uccisioni di Aldrovandi, Cucchi e vari altri. Alla recente repressione delle manifestazioni studentesche. Altri minorenni o meno pestati e trascinati per terra senza che vi fosse un’eccessiva attenzione mediatica.

Si tratta di una malattia particolarmente inquietante perché costituisce un aspetto di un regime autoritario che poco a poco si sta imponendo nel nostro Paese. Uno dei possibili esiti dell’attuale crisi della politica determinata dalla mancanza di prospettive e dalla corruzione dei partiti. Che vediamo configurato già nel crescente fastidio con cui Monti ed altri tecnici guardano al controllo parlamentare. Per non parlare di quello della magistratura che se potessero abolirebbero dall’oggi al domani.

Stressati da una condizione lavorativa molte volte difficile per carenza di mezzi, tuttora inquadrati in un ordinamento gerarchico molte volte privo di scopo se non quello di giustificare inutili arbitrii da parte dei superiori, uomini e donne delle forze dell’ordine, anziché cercare, collettivamente fra di loro e nel rapporto con le altre componenti della cittadinanza, una soluzione effettiva ai problemi comuni, cercano a volte la fuga nella violenza insensata e nell’affermazione brutale del potere fine a se stesso. Operazione tanto più agevole in un momento di crisi dei valori come quello attuale, e favorita in modo irresponsabile da un ceto politico che alla repressione poliziesca affida oggi il proprio principale ed ultimo baluardo.

Unico rimedio per uscire da questo insano delirio di onnipotenza, il recupero autocritico, da parte delle forze dell’ordine, della loro vera funzione. Che è quella di proteggere e assistere i cittadini, non già  di vessarli e maltrattarli. Ricorrendo se necessario al diritto alla disobbedienza, specie di fronte ad ordini illegittimi. E dando senso all’organizzazione sindacale, conquistata con dure lotte quasi quarant’anni fa.

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