“E’ responsabilità del nostro presidente quella di usare il grande potere dell’America per fare la Storia – non per restare un passo indietro, lasciando il nostro destino in balia degli eventi”. Così Mitt Romney ha sintetizzato la sua idea di politica estera nel corso di un discorso di 23 minuti ai cadetti del Virginia Military Institute. Romney ha cercato di definire la visione di un’America forte militarmente e autorevole politicamente. “Non è ciò che avviene oggi in Medio Oriente con Obama”, ha continuato Romney, che ha accusato l’attuale amministrazione di debolezza, incompetenza, persino di scarso patriottismo. Il campo democratico ha già risposto. Secondo Madeleine Albright, segretario di Stato americano con Clinton, il discorso di Romney è stato “un ammasso di banalità”.

La scelta di Romney di dedicare un intero discorso alla politica estera viene al termine di un confronto piuttosto animato all’interno del suo team. Una parte dei consiglieri erano contrari ad articolare una compiuta visione di politica internazionale nella fase finale di una campagna dominata dai temi dell’economia e del lavoro. Alla fine ha avuto però la meglio l’opinione contraria, che insisteva sulla necessità di definire meglio il profilo da commander-in-chief di Romney dopo una serie di imbarazzanti scivoloni sulla scena internazionale.

Controversa per esempio la definizione data dall’ex-governatore della Russia come “nostro principale nemico geo-politico”. Controversi soprattutto una serie di giudizi sul conflitto israelo-palestinese, espressi da Romney prima e dopo il viaggio a Gerusalemme dello scorso luglio. Nel celebre video “rubato” a una raccolta fondi in Florida, oltre a scagliarsi contro il 47% degli americani che vivono alle spalle dello Stato, Romney esprimeva anche tutte le sue riserve verso la soluzione dei due Stati – “perché i palestinesi non vogliono la pace e puntano alla distruzione dello Stato ebraico”, affermò Romney – delineando piuttosto la visione di una “Grande Israele”.

Di fronte a 500 giovani militari della Virginia, Romney ha anzitutto attaccato la politica mediorientale di Obama. “Quando guardiamo al Medio Oriente oggi – ha detto – con l’Iran più vicino che mai al nucleare, con il conflitto in Siria che minaccia di destabilizzare la regione, con violenti estremisti in marcia, con un ambasciatore americano e altri tre uccisi da affiliati di al-Qaeda, diventa chiaro che il rischio di un conflitto oggi nella regione è più grande di quando questo presidente fu eletto”. Romney ha riconosciuto che Obama merita “credito” per aver ordinato l’assassinio di Osama bin Laden. Ma la politica dell’attuale presidente, a detta di Romney, mancherebbe di una “compiuta strategia antiterrorismo, e non ha davvero capitalizzato le primavere arabe”. La decisione di ritirarsi dall’Iraq troppo presto avrebbe “minato ulteriormente la nostra capacità di influenzare gli eventi nell’area”.

E’ stato chiaro, per tutto il corso del discorso, lo sforzo di Romney di abbandonare gli accenti troppo radicalmente conservatori espressi nel passato, per una via più tradizionale e mainstream, “quella della grande politica di potenza americana, di Eisenhower, di Kennedy e di Reagan”, ha detto Romney. Ciò non toglie che, nel caso diventasse presidente il candidato repubblicano promette una politica estera più “robusta” e aggressiva. “Non esiterò a imporre nuove sanzioni all’Iran – ha detto – e restaurerò una task force militare permanente nel Mediterraneo orientale e nelle regione del Golfo”.

Romney progetta anche di fornire armi ai ribelli siriani; di subordinare gli aiuti all’Egitto alla creazione di “vere istituzioni democratiche”; di “aumentare gli aiuti militari al governo israeliano”. Quanto all’Afghanistan, l’ex-governatore ha lasciato intendere di essere pronto a mantenere una presenza militare americana ben oltre il 2014: “Valuterò le condizioni sul terreno e i consigli dei nostri militari”.

“Se Romney fosse un mio studente, gli darei un bel 4”, è stato il commento dell’ex-segretario di stato Madeleine Albright, cui la campagna di Obama ha affidato il compito di rispondere nel corso di una conference call con i giornalisti. La Albright ha notato la “piattezza generica” delle proposte di Romney, l’assoluta mancanza di soluzioni (una vaghezza rilevata anche da James Lindsay del “Council on Foreign Relations” in una dichiarazione a Politico.com: “Romney non ha risposto alle due domande chiave: che cosa farebbe di diverso e perché la sua strategia dovrebbe funzionare”). La Albright ha anche notato nelle parole di Romney la compresenza di “linee e tensioni molto diverse”. In effetti, tutto il discorso è stato segnato da una ripresa di vecchi motivi di esportazione della democrazia – con il rinnovato impegno militare in Siria e Afghanistan e l’alleanza con Israele in nome dei “valori occidentali” – temperati dalla preoccupazione per il sommovimento che i nuovi movimenti stanno creando nell’area. E’ il segnale, secondo molti osservatori, della continua presenza di due anime e strategie internazionali molto diverse all’interno del Partito repubblicano. Quella del vecchio establishment conservatore. E quella del più recente mondo neocon, fortemente indebolito dalle fallimentari esperienze politico-militari in Afghanistan e Iraq.

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