Sono arrivati in abiti civili, si sono fatti annunciare in portineria e hanno quindi varcato senza clamore l’entrata di Palazzo d’Orleans. Sono quattro gli ufficiali della guardia di finanza che hanno compiuto un vero e proprio giro di ricognizione tra i lussuosi corridoi dell’Assemblea regionale siciliana. Dopo l’annuncio dei giorni scorsi le fiamme gialle sono quindi entrate formalmente a Palazzo dei Normanni per acquisire tutta la documentazione utile all’indagine sui finanziamenti ai gruppi parlamentari dell’Ars. Prima di cominciare lo screening dei documenti, i finanzieri hanno incontrato il presidente dell’Ars Francesco Cascio, che ha rinnovato “piena disponibilità e collaborazione per ogni esigenza attinente le competenze dell’Ars in materia di trasferimenti ai gruppi parlamentari”.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis e Maurizio Agnello, vuole fare luce sull’effettivo utilizzo che i gruppi parlamentari hanno fatto dei fondi che ricevono ogni anno dall’Ars. Sono quasi sessanta i milioni di euro che il parlamento regionale ha destinato al funzionamento dei gruppi negli ultimi quattro anni e mezzo. Tredici milioni e mezzo sono finiti sul conto del gruppo parlamentare del Pdl (17 deputati), quindici e mezzo al Pd (25 deputati), 7,5 milioni al Movimento per l’Autonomia (15 deputati) , 6,5 ai Popolari di Italia Domani (4 deputati), tre milioni a Futuro e Libertà (4 deputati), 1,7 all’Udc (8 deputati), 1,2 a Grande Sud (5 deputati) e 750 mila euro al piccolo Movimento popolare siciliano, nato da una costola del Mpa appena un anno fa. Tutti soldi che sarebbero utilizzati soprattutto per pagare dipendenti, portaborse, e – nel caso del Pid – addirittura un mutuo.

La settimana scorsa Cascio si era recato volontariamente in procura, accompagnato dal segretario generale dell’Assemblea Giovanni Tomasello e dall’avvocato Enrico Sanseverino per consegnare ai magistrati la documentazione relativa agli emolumenti che ogni anno il parlamento regionale destina ai gruppi parlamentari. Da lì in poi i capigruppo hanno discrezionalità massima sull’utilizzo dei fondi, non avendo obbligo di rendicontazione. Trattandosi però pur sempre di denaro pubblico, quei soldi devono comunque essere spesi per scopi istituzionali. Il limite tra lo scopo istituzionale e il reato però è molto labile. Se faraonici convegni di partito a base di champagne possono essere considerati soltanto esempi di cattivo utilizzo del denaro pubblico, al contrario l’acquisto di auto o di un appartamento per scopi privati dei parlamentari diventerebbe un’ipotesi di reato per gli inquirenti.

Le fiamme gialle hanno chiesto ai dipendenti dei gruppi parlamentari gli estremi dei conti correnti che saranno quindi confrontati con i dati già acquisiti. Prima di iniziare un serrato giro tra i vari uffici, gli ufficiali della guardia di finanza hanno infatti preso contatti con gli impiegati dello sportello di Banca Nuova che c’è in uno dei cortili interni a Palazzo dei Normanni. Gli inquirenti vogliono verificare se i movimenti sui conti correnti dei gruppi parlamentari corrispondono effettivamente ai bilanci interni. Dopo accerteranno, attraverso le fatture, l’effettivo utilizzo che i gruppi parlamentari hanno fatto dei fondi ricevuti dall’Ars. Nei prossimi giorni l’inchiesta potrebbe interessare anche i fondi riservati del governatore. Il presidente dimissionario Raffaele Lombardo ha utilizzato nel 2011 mezzo milione di euro del fondo riservato, mentre l’anno prima la spesa si è fermata a 200 mila euro. Un incremento dovuto alla crisi, ha spiegato Lombardo, dato che molti di quei soldi sarebbero stati utilizzati per aiutare le famiglie indigenti. Anche sui fondi riservati però, sia il governatore che il presidente dell’Ars non hanno obbligo di rendicontazione.

Nel frattempo l’indagine sulle presunte “spese pazze” va avanti. È probabile che nei prossimi giorni vengano interrogati tutti i capigruppo degli otto partiti che siedono nel parlamento più ricco d’Italia: complessivamente l’Ars costa infatti 162 milioni di euro l’anno. E mentre gli inquirenti vogliono effettuare i riscontri nel più breve tempo possibile, fuori da palazzo dei Normanni, continua la campagna elettorale per le elezioni regionali del prossimo 29 ottobre. Una campagna elettorale che si è trasformata in una battaglia a colpi di citazioni e carta bollata. L’ex ministro dell’agricoltura Saverio Romano ha infatti deciso di querelare per diffamazione l’aspirante governatore di Pd e Udc Rosario Crocetta, reo di averlo definito “garante della realizzazione di quattro termovalorizzatori bloccati da Lombardo” insieme al senatore del Pdl Pino Ferrarello. La vicenda, secondo Crocetta, sarebbe provata dal famoso videotape rubato a Gianfranco Miccichè, mostrato sabato scorso dallo stesso leader di Grande Sud. Su Crocetta è piovuta anche la querela di un altro aspirante governatore. Nello Musumeci non ha infatti gradito le parole che l’ex sindaco di Gela ha utilizzato sulle cosiddette liste pulite. “Noi non abbiamo candidato indagati, condannati – avrebbe detto Crocetta – A Musumeci dico che di gente da arrestare nelle loro liste ce n’è parecchia”.

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