La Chiesa, come tutti gli enti non commerciali, verserà l’Imu sugli immobili che ospitano le attività che danno profitto. Pagherà a partire dal 2013, come era previsto, anche quando le attività redditizie sono svolte in immobili in cui l’utilizzazione è mista, ovvero sia non commerciale che commerciale. Dopo la bocciatura, da parte del Consiglio di Stato, del decreto del Tesoro che attuava la legge, oggi il governo interviene per evitare l’impasse. E lo fa sulla norma primaria, lasciando maggiori margini al regolamento. I giudici di Palazzo Spada avevano infatti sottolineato, nel loro parere critico, che il ministero dell’Economia, con il suo decreto, era andato oltre i poteri regolamentari che gli erano stati conferiti dalla legge. Aveva “esulato”, per usare le loro parole, dai confini assegnati. Ora le maglie dell’intervento regolatorio invece si allargano. E quindi il governo, con una nota diffusa a Palazzo Chigi quando è in corso il consiglio dei ministri sulla legge di stabilità, garantisce che tutto “il quadro regolatorio, sia primario che secondario, sarà completamente definito in tempo per il periodo annuale di imposta, che decorre dal primo gennaio 2013, con l’effetto di pieno adeguamento al diritto comunitario e con la determinazione delle situazioni assoggettabili alla imposta in questione”. Le linee guida definiranno – spiega ancora il governo – le modalità e le procedure della dichiarazione e gli elementi rilevanti per quantificare il rapporto proporzionale tra attività commerciali e non. Definiranno inoltre i requisiti, sia generali che di settore, per poter qualificare come svolte con modalità non commerciali le attività di vario tipo (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive).

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