Le compagnie cinesi di telecomunicazione Huawei e ZTE sono fra le più importanti del mondo, ma minacciano la sicurezza degli Stati Uniti e per questo devono essere tenute lontano dal mercato americano. È la conclusione a cui è giunto un gruppo di studio del Congresso Usa, mettendo in luce che le due compagnie sono sospettate di avere forti legami con il governo e con l’esercito cinesi.

La Huawei, in particolare, negli ultimi anni ha aumentato i propri numeri, arrivando a un giro di affari di 32 miliardi di dollari. È ormai più che in grado di competere sul mercato mondiale delle infrastrutture tecnologiche di comunicazione, e su quello dei cellulari e dei sistemi di cloud computing. Ed è arrivata a questo livello grazie alla qualità e alla competitività dei prezzi che l’hanno contraddistinta soprattutto nei primi anni della sua ascesa. Oggi la azienda di telecomunicazioni cinese è il secondo più grande fornitore al mondo di apparecchiature e svolge il 70 per cento della propria attività al di fuori della Cina. Lo slancio internazionale l’ha caratterizzata fin dalla sua nascita. Una tecnica che secondo l’Economist – che lo scorso agosto gli ha dedicato una copertina intitolata significativamente “Chi ha paura della Huawei?” – si potrebbe definire “maoista”: dapprima si è concentrata nel fornire servizi nei piccoli centri della Cina solo dopo si è concentrata sulle grandi città. Anche per la sua ascesa internazionale avrebbe utilizzato un metodo simile: partita da paesi limitrofi, ha finito per diventare leader sui più importanti mercati mondiali. Ma negli Stati Uniti non gli hanno fatto esattamente i ponti d’oro.

Le due imprese cinesi hanno montato una grande campagna di lobbying per convincere Washington a non interferire con i loro affari. La sola Huawei l’anno scorso ha fatturato 1,3 miliardi di dollari sul mercato statunitense. Entrambe le società hanno venduto a prezzi inferiori rispetto a quelli dei loro concorrenti per sviluppare la loro quota di mercato statunitense in modo significativo. Ma le 52 pagine redatte dal comitato di intelligence della Casa Bianca rischiano di rovinargli tutti i piani. Dopo un anno di indagini, si è concluso blandamente che le attrezzature delle due aziende potrebbero essere usate per spiare gli statunitensi. Ma la Casa Bianca raccomanda che la acquisizioni o le fusioni di Huawei e Zte con aziende americane passino attraverso la commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti. E sconsiglia il governo di usare apparecchiature costruite presso tali imprese. Secondo questo rapporto, anche le società statunitensi farebbero meglio a cercare fornitori alternativi per impianti di telecomunicazioni.

Tutto ciò contribuirà senza dubbio ad alimentare le tensioni già presenti con la Repubblica popolare. I militari americani e i funzionari dei servizi segreti da sempre evidenziano che la Cina rappresenta una minaccia di spionaggio informatico per i sistemi di difesa e per le aziende degli Stati Uniti. Ma fino ad oggi i funzionari governativi sono sempre stati riluttanti a esprimere queste preoccupazioni pubblicamente, proprio per paura di ritorsioni economiche. La situazione però sta cominciando a cambiare e la pubblicazione di questo rapporto ne è la prova. Le società cinesi hanno negato sempre che avrebbero permesso al loro governo di utilizzare le loro attrezzature e i loro sistemi informatici, esplicitando che non sarebbe nel loro interesse professionale farlo. Il portavoce di Huawei, William Plummer, ha definito le preoccupazioni americane per la sicurezza nazionale “infondate” mentre la Zte si è preoccupata di specificare che il suo status di società quotata in borsa è di per sé garanzia di trasparenza.

di Cecilia Attanasio Ghezzi

 

Nel rapporto, inoltre, non ci sono elementi di prova che dimostrino che le attrezzature delle due società siano mai state utilizzati per spionaggio. Ma le preoccupazioni americane derivano da altro. I servizi di intelligence statunitensi sostengono che la Cina è il protagonista di spionaggio industriale più attivo presente sul loro territorio. E motivano questa affermazione prendendo ad esempio una serie di presunti incidenti di cyber-spionaggio contro aziende come Google o come la Rsa, una ditta di sicurezza informatica. Ma, ancora una volta, la Cina ha sempre negato di essere coinvolta.

 

Le accuse presenti nel rapporto su pratiche potenzialmente illegali della Huawei si basano parzialmente sulle dichiarazioni di ex dipendenti non meglio identificati. Sulla base di tali colloqui, il rapporto sostiene che ci sono stati casi di presunta frode e corruzione nella ricerca di contratti statunitensi e ricorda alcuni casi di dipendenti Huawei che lavoravano a tempo pieno negli Stati Uniti con visti turistici.

 

Si pone anche l’attenzione sui “comitati di partito” all’interno dell’azienda che fornirebbero “una fonte di ombra di potere e di influenza” per il Partito Comunista all’interno delle aziende. Ma in Cina sono presenti in ogni azienda, e non bastano certo questi dati a giustificare l’accusa di spionaggio. Forse dovrebbero prima riflettere sul fatto che il sospetto è grande da entrambe le parti. La fuoriuscita di Google dal mercato cinese è stata probabilmente frutto delle stesse logiche: affari e sicurezza nazionale.

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