Pierangelo Daccò, il faccendiere protagonista delle vacanze dorate di Roberto Formigoni e appena condannato a dieci anni di reclusione, era in grado di “agevolare le pratiche” che interessavano all’ospedale San Raffaele, grazie alle sue “conoscenze in RegioneLombardia. Lo chiarisce, testimoniando a Milano al processo per il crac dell’istituto fondato da don Luigi Verzè, Stefania Galli, la segretaria di Mario Cal, l’ex numero 2 del San Raffaele morto suicida ilo 18 luglio 2011. ”Pierangelo Daccò mi era stato presentato da Cal come la persona che con le sue conoscenze in Regione ci poteva seguire e agevolare le pratiche dell’ospedale”, ha spiegato ai giudici. 

Quanto a Cal, ha raccontato ancora la testimone, riceveva “buste di contanti, con banconote da 500 euro”, almeno “una volta al mese dal 2005”. A consegnargliele era l’imprenditore Pierino Zammarchi, uno dei fornitori dell’ospedale e imputato al processo. Si tratta delle ormai famose “retrocessioni” di denaro da parte dei fornitori per costituire fondi neri. 

Rispondendo alle domande del pm di Milano Luigi Orsi, Galli ha rivelato che don Verzè, anche lui deceduto lo scorso dicembre, aveva “messo alla porta Cal, prima del suicidio, per fare entrare i consiglieri del Vaticano nel cda”. Un particolare finora inedito. Vista la grande difficoltà economica e il deficit del gruppo ospedaliero, Cal aveva avuto una serie di incontri per trovare “una cordata di imprenditori che potesse entrare e mettere liquidità”. L’unica offerta, ha continuato la testimone, “venne da Rotelli del gruppo San Donato”. Al cda del 23 giugno 2011, “Cal presentò l’offerta scritta di Rotelli, ma il presidente Verzè non era convinto e l’offerta non venne firmata, perché Verzè aveva avuto l’assicurazione verbale che il Vaticano era interessato”.

Cal, ha proseguito la segretaria, “era contrario all’ingresso del Vaticano, ma l’esito del cda fu che Verzè chiese le dimissioni di tutti i consiglieri e anche di Cal per far entrare quelli del Vaticano”. La testimone Galli ha spiegato inoltre che dopo quel cda a Cal venne detto di “svuotare e lasciare” il suo ufficio e ci fu anche un cda verso metà luglio, pochi giorni prima del suicidio di Cal. “Dopo questo ultimo cda – ha aggiunto la teste – non ho più parlato e non ho più visto Cal”.

Qualche dettaglio in più sul contributo di Pierangelo Daccò è arrivato da una dirigente amministrativa del SanRaffaele, Alessia Zacchia. Nel 2006 la Regione Lombardia tardava a pagare quanto previsto da un bando. Cal “alla presenza anche di Daccò mi disse che glielo dovevo comunicare quando c’era un ritardo di questo tipo”, ha spiegato. “C’era Daccò perché io avevo capito che lui avrebbe riportato in Regione questo sollecito”. 

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