La lotta all’evasione fiscale è spesso invocata come panacea contro tutti i mali. Nel libro che sto per pubblicare (sulla disuguaglianza in Italia [Rizzoli, 2013]) mi scaglio apertamente contro questa visione. La promessa di una riduzione dell’evasione fiscale non può diventare uno strumento per finanziare in modo regolare le politiche e le riforme di cui il paese ha disperato bisogno. Credere che, combattendo l’evasione, risolveremo tutti i problemi del paese è uno specchio per le allodole, un leitmotiv usato ad arte da ‘politici ciarlatani’ e incompetenti che non hanno alcuna voglia di attaccare alla radice i problemi del paese (e molto spesso neanche voglia di combattere realmente l’evasione).

Tuttavia, accrescere il gettito fiscale mediante la riduzione dell’evasione potrebbe contribuire alla creazione di ‘fondi speciali’ da utilizzare per raggiungere obiettivi specifici. Legare la lotta all’evasione fiscale al raggiungimento di un obiettivo circostanziato e visibile potrebbe diventare una sorta di ‘spot per il governo’, convenendo una motivazione semplice e diretta ai cittadini per farsi fare la fattura o lo scontrino e per vigilare in maniera più accorta sugli ‘abusi fiscali’. Da buon accademico il primo ‘scopo’ che mi viene in mente è il miglioramento della ricerca universitaria.

Vediamo qualche numero (anche se con i numeri sull’evasione fiscale bisogna stare molto attenti). L’ufficio studi dell’agenzia delle entrate stima che la ricchezza nascosta al fisco nell’ultimo anno solare ammonterebbe a 266 miliardi di euro (circa il 17% del PIL) con una conseguente riduzione del gettito fiscale di 115 miliardi di euro.

D’altro canto se analizziamo gli ‘endowments’ (letteralmente ‘la dotazione’, le proprietà di un’università capaci di generare reddito) di alcune delle più prestigiose università del mondo ci rendiamo conto di quanto grande sia il buco creato dall’evasione fiscale. Harvard ha un endowment di 25 miliardi di euro, seguita da Yale a 15, Princeton e Stanford a circa 13. In Europa, Cambridge e Oxford si attestano poco sopra i 4 miliardi di euro (questo dato include tutti gli splendidi edifici storici e le proprietà dei college !). Esistono poi università più piccole, specializzate in alcune discipline (ma ugualmente prestigiose e di successo nel campo della ricerca) come la London School of Economics con endowments molto ridotti (circa 100 milioni di euro).

Con queste cifre non voglio dire che combattendo l’evasione fiscale domani potremmo lanciarci nella creazione di università ricche e di successo come Harvard, ma che, quanto meno, potremmo stabilire un fondo nazionale per la ricerca più cospicuo, un fondo utile per finanziare progetti e infrastrutture. Premiando in tal modo i dipartimenti che sanno fare ricerca e hanno bisogno di fondi per competere a livello europeo e mondiale. Inoltre, come dicevamo prima, fornire un obiettivo chiaro nella lotta all’evasione fiscale, potrebbe costituire un fattore di forte mobilizzazione e sensibilizzazione della cittadinanza.

Così come l’idea proposta nel precedente post si tratta di misure che non risolverebbero certo alla radice i mali che ci attanagliano, ma che contribuirebbero a svecchiare il sistema paese in comparti importanti (da qualche parte bisogna pur cominciare per cambiare questo paese!). Non è utopia pensare che alla politica d’investimento strutturale nella ricerca si possa affiancare anche un fondo straordinario basato sul gettito recuperato dall’evasione. Un fondo che contribuisca a premiare il merito. Si potrebbe dire da rifiuto (l’evasione) a risorsa (la ricerca universitaria).

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