Sto leggendo un saggio di David Crystal sull’ortografia inglese (Spell it out – Profile Books) dove si racconta la grande difficoltà che i monaci che cristianizzarono le isole britanniche ebbero a codificare la lingua e a trovare tutte le lettere necessarie per esprimere ogni suono dell’inglese. Non ce n’erano abbastanza nell’alfabeto latino e si dovette prenderne qualcuna in prestito dall’alfabeto runico. Ma i prestiti non si radicarono e alla fine prevalsero le lettere latine, con una grande confusione di grafie diverse che rende ancora oggi l’inglese scritto molto diverso da quello parlato.< Ma tutte le lettere usate per scriverlo hanno una loro ragione di essere, spiega Crystal, perché rispecchiano fedelmente la ricchezza fonetica dell’inglese. Tutto vero e tutto giusto. Ma viene un dubbio fantalinguistico: non sarebbe stato più facile per i monaci, anziché accanirsi a cercare le lettere giuste per trascrivere tutti i suoni dell’inglese, forzare gli inglesi a piantarla subito con i loro impronunciabili fonemi e usarne di più facilmente trascrivibili? Quanti dovevano essere gli inglesi nel quinto secolo d.c.? Un’operazione tutto sommato possibile.

Di imposizioni linguistiche se ne sono viste di peggio nel passato recente. Basti pensare al russo nei paesi baltici, all’invenzione del macedone nella ex-Iugoslavia, all’imposizione dell’alfabeto latino ai turchi. Avessero avuto abbastanza lungimiranza, i monaci della prima cristianità avrebbero potuto stroncare sul nascere una delle grandi piaghe della comunicazione moderna. Oggi l’inglese è diventato la lingua del mondo e milioni di persone che non hanno nessuna familiarità con i suoi astrusi suoni sono obbligati a incredibili sforzi per pronunciarlo. Ma qualcosa si può ancora fare. Se non l’hanno fatto i monaci, facciamolo noi. Che tutti i locutori di inglese non madrelingua si mettano infine a  pronunciare le  “o” e le “a” e le “i” e le “u” come sono scritte e come le pronunciano tutte le bocche del mondo. Milioni che siamo, metteremo gli inglesi in minoranza e sarà il nostro non il loro l’inglese del futuro!

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