Promessa solenne del 25 gennaio 2008: “Oggi abbiamo dato avvio alla campagna elettorale per la libertà”. E giù una serie di ddl da approvare come primi provvedimenti del futuro governo Berlusconi, fra cui, al quinto posto, le intercettazioni da autorizzare “soltanto per indagini che riguardano il terrorismo, la mafia, la camorra”.

“Per il resto” in omaggio alla libertà “Chi le ordinasse: cinque anni di prigione! Chi le eseguisse: cinque anni di prigione! Chi le divulgasse: cinque anni di prigione! Chi le pubblica: due milioni di multa per l’editore”. Quest’ultima forse in omaggio al principio di precauzione, che non è mai troppa, soprattutto per chi sia padre e fratello di editori.

Poi capita che, l’altro giorno, condannino a 14 mesi, per diffamazione a mezzo stampa, il  direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, all’epoca dei fatti direttore di Libero, e subito arriva il commento di Berlusconi: “La carcerazione inflitta al direttore Alessandro Sallusti appare a chiunque assolutamente fuori da ogni logica e contro il buonsenso. Chiederemo al governo di intervenire urgentemente affinché casi come questi non si possano più verificare e nessuno possa essere incarcerato per avere espresso un’opinione”.

Come ha ben spiegato il collaboratore del Fatto Alessandro Robecchi, l’articolo pubblicato dal quotidiano diretto da Sallusti non conteneva solo opinioni, ma soprattutto una notizia non corrispondente al vero corredata da opinioni e, come precisato in un comunicato stampa della Cassazione del 26 Settembre 2012, “la non corrispondenza al vero della notizia (pubblicata da “La Stampa” il 17 febbraio 2007) era già stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima della pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano “Libero”) da quattro dispacci dell’Agenzia Ansa (in successione sempre più precisa, alle 15,30, 19,56, 20,25 e 20,50) e da quanto trasmesso dal TG3 Regionale e dal Radiogiornale (tant’è che il 18 febbraio 2007 tutti i principali quotidiani, tranne “Libero”, ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini)”.

Quindi tenete presente: nel favoloso mondo di Essebì e delle sue libertà, se vi inventate il testo di un’intercettazione e lo pubblicate come vero, nessuno vi può giudicare ma, se non inventate niente e divulgate un’intercettazione vera, state ben attenti, perchè sono cinque anni di prigione!

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